SOUTHPAW-L'ULTIMA SFIDA: JAKE GYLLENHAAL E' UN PUGILE 'SOUTHPAW' (MANCINO) AGGRESSIVO E BRUTALE PER ANTOINE FUQUA (TRAINING DAY, BROOKLYN'S FINEST). AL SUO FIANCO RACHEL MCADAMS E FOREST WHITAKER
68. Festival del Film di Locarno - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW IN ENGLISH by JUSTIN CHANG (www.variety.com) - Dal 2 SETTEMBRE
"... La cosa che mi aveva colpito fin dall’inizio è che Billy è un tipo che sfrutta la sua rabbia, tanto da costruirci sopra una grande carriera, raggiungere il successo e guadagnare tanti soldi grazie a essa. Ma questa rabbia può anche distruggerlo. Alla fine, per me e anche per Antoine (Fuqua), è la storia di un uomo che scende a patti con la sua rabbia, e con l’idea di cosa significhi essere padre... Il corpo funziona soltanto se anche la mente è a posto. Praticamente in quel periodo non facevo nient’altro che non fosse concentrarmi sulla boxe... Dopo poco tempo succede che tu cogli tutto quello che c’è nel mondo che ti circonda. Come attore, amo fare delle cose a livello inconscio e questo richiede del tempo. Quando interpreti un personaggio e ti immergi così tanto nel suo mondo, allora capisci tutto quello che gli succede... Ogni volta che sali su un ring, non puoi essere sicuro che ne uscirai vivo e questo non capita in nessun altro sport o nella società in generale, a parte per i soldati. Credo che sia una bella metafora della vita: entri ed esci sul ring da solo, quindi si tratta di un viaggio esclusivamente personale. Come appassionato, capire l’energia necessaria per diventare un pugile professionista, la volontà , la preparazione, la disciplina e il talento, è stato veramente emozionante".
L'attore Jake Gyllenhaal
"Ho capito che non si trattava soltanto della storia di un uomo. In realtà era una vicenda universale di redenzione, con tanti ostacoli da superare e demoni personali, oltre a parlare dell’importanza di preoccuparsi prima degli altri e poi di se stessi".
Lo sceneggiatore Kurt Sutter
Cast: Jake Gyllenhaal (Billy Hope) Rachel McAdams (Maureen Hope) Naomie Harris (Angela Rivera) Forest Whitaker (Titus 'Tick' Wills) Curtis (50 Cent) Jackson (Jordan Mains) Victor Ortiz (Ramone) Clare Foley (Alice) Beau Knapp (Jon Jon) Miguel Gomez (Miguel Escobar) Grace Marie Williams (Ragazza di Jordan) Oona Laurence (Leila Hope) Skylan Brooks (Hoppy) Dominic Colón (Mikey) John Cenatiempo (Funzionario) Carmen Gangale (Turay Cornerman)
Musica: Harry Gregson-Williams
Costumi: David C. Robinson
Scenografia: Derek R. Hill
Fotografia: Mauro Fiore
Montaggio: John Refoua
Casting: Lindsay Graham e Mary Vernieu
Scheda film aggiornata al:
29 Settembre 2015
Sinossi:
IN BREVE:
Billy 'The Great' Hope (Jake Gyllenhaal) è il campione in carica di pesi medi. Con una bella famiglia e una posizione finanziaria sicura, è al massimo della forma quando una tragedia lo spinge all'abuso di alcol e farmaci. La sua esistenza peggiora fino al giorno in cui incontra Tick (Forest Whitaker), un ex pugile che decide di prenderlo sotto la sua ala protettiva.
IN ALTRE PAROLE:
Billy “The Great†Hope (Jake Gyllenhaal), campione mondiale in carica dei pesi massimi leggeri, è un “southpawâ€, un pugile mancino, dallo stile aggressivo e brutale. Sembra avere tutto: una grande carriera, una moglie bella e amorevole (Rachel McAdams), una figlia adorabile (Oona Laurence) e uno stile di vita invidiabile. Ma una tragedia è in agguato e quando anche il suo storico amico e manager (Curtis “50 Cent†Jackson) lo abbandona, Hope tocca il fondo. Per risalire la china, deve rivolgersi a un improbabile alleato in una palestra locale: Tick Willis (il vincitore dell’Academy Award® Forest Whitaker), un ex pugile diventato l’allenatore dei migliori boxeur dilettanti della città . Con l’aiuto di Tick, Bill affronterà la battaglia più dura della sua vita, combattendo per redimersi e riconquistare la fiducia delle persone che ama.
SHORT SYNOPSIS:
A boxer fights his way to the top, only to find his life falling apart around him.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
ANCORA BOXE! EPPURE ANTOINE FUQUA E JAKE GYLLENHAAL HANNO SAPUTO PESCARE L'INEDITO DAL GENEROSO POZZO DELLE FAMILIARITA'. ED ECCO UN NUOVO SGUARDO INTIMISTA APPUNTATO SU UN'ALTRA PARABOLA UMANA IN CUI L'ANGELO CADUTO, SPINTO DAL DIRUPO DAI SUOI STESSI DEMONI, BRAMA IL SUO SPIRAGLIO DI REDENZIONE.
E magari in Southpaw ci starebbero anche tutti. Nessuno avrà difficoltà a riscoprire un tratteggio familiare con l'eastwoodiano Million Dollar Baby (soprattutto nella seconda parte, dove campeggia la 'spalla del buon senso' con il trainer Tick Willis di Forest Whitaker e non solo) così come si avrà la percezione che l'ingombrante citazione sfugga d'altra parte più volte di mano per scivolare via, in tutt'altra direzione. Tutti e nessuno dunque, perchè la scommessa di non rendere la sua nuova pellicola "il solito film sul pugilato", Fuqua & Co. l'ha ampiamente vinta. E l'ha vinta dall'interno, dando vita ad una rara e preziosa 'interiorizzazione' di questo sport, qui raccolto per schegge, senza incedere oltre il filo spinato della rievocazione di certi passaggi obbligati, estremi quanto si vuole ma mai quanto il 'mattatoio' che sanguina dall'anima del protagonista, il vero perno di Southpaw. Una sfida vinta dal cuore del nuovo 'toro scatenato' protagonista
per eccellenza, così lontano da quel Rocki con i ritorni di fiamma a grappolo che lo hanno voluto a oltranza sulle stesse frequenze.
oggi fresco reduce di inimmaginabili scalate sulle più che impervie rocce dell'Everest (nel film di Baltasar Kormákur, appena presentato fuori Concorso alla 72 Mostra del Cinema di Venezia). Le sue, d'altra parte, sono sempre e comunque scalate da guinness dei primati: ci si è ormai abituati a scoprirlo inerpicato sulle acuminate rocce delle profondità interiori dei suoi sempre più tormentati personaggi, la cui vetta sembra un miraggio irraggiungibile. Il suo è un lavoro di scavo introspettivo lento, paziente e costante, come quello del minatore di fronte alla nera parete di carbone. Un minatore dell'anima che qui non si smentisce e, armato di corde e scalpello, lavora senza sosta per mettere a nudo il prezioso minerale che riluce da sotto tutta quella fuliggine che oscura questo suo nuovo, complesso personaggio, il Southpaw (mancino) Billy “The Great†Hope.
E Jake Gyllenhaal, qui tradotto nel suo 'caratteriale' Billy, non può certo farci rimpiangere il
propri implacabili demoni per accettare le drammatiche conseguenze di questi suoi eccessi fuori confine e rivedere i contorni di quel che significa essere padre responsabile una volta privato - indirettamente da se medesimo - della possibilità e abitudine a sottoscrivere fissa delega alla fedele compagna. Di quel che significa rivivere ancora una volta sulla propria pelle la ferita mai rimarginata dell'essere orfani: costretto a vedere la propria figlia, già rimasta orfana di madre, affidata ai servizi sociali, sempre a causa dei suoi 'smottamenti' psicologici.
Così, in Southpaw, il vero match, l'ultima sfida, si gioca dentro il personaggio di Billy/Gyllenhaal, prima ancora che sul ring, in punta di vendetta e all'ultimo sangue, con l'impavido provocatore e arrogante rivale. E' proprio là , in mezzo ai due contendenti, che la macchina da presa di Fuqua sa insinuarsi e volteggiare leggera come una libellula, attenta come un'aquila, feroce come un giaguaro. Ma piuttosto che scivolare
sul tappeto della spettacolarizzazione di un tiro mancino, anche se pugni e colpi bassi non si fanno certo mancare - come avrebbe potuto essere altrimenti? - come il sarto di un'elegante maison di moda, Fuqua taglia e cuce con maestria, smorzando i tempi dei vari round, per regalarci, con qualche scorcio in primissimo piano o di sotto in su, il protagonismo assoluto di un palpito interiore. E se il realismo è assicurato dal rigore ottenuto con la chiamata in causa del leggendario allenatore e coreografo di combattimenti Terry Claybon - ex pugile professionista in grado di vincere tre Golden Glove Championships e ritirarsi imbattuto, che ha pure lavorato con alcuni dei maggiori attori di Hollywood, tra cui Denzel Washington, Kevin Spacey, Nicolas Cage, Matt Damon e Ben Affleck - qui pure nei panni di T, l'assistente di Willis/Whitaker, il trainer 'ammazza sogni' di Billy, a rincarare la dose in punta
di assoluto 'verismo' è la superba e raffinata sceneggiatura di Kurt Sutter. Quel che si dice, un altro sguardo dall'interno, giacchè il padre è stato un pugile semiprofessionista.
Lo sguardo dall'interno su un'iperbole umana che muta più volte la sua dieta, passando dal miele agrodolce degli inizi, all'amaro fiele imposto dalla caduta di mezzo, finchè le grida non diventano sussurri - Billy/Gyllenhaal non griderà mai il nome della sua amata, ma leverà una sommessa e accorata preghiera di ringraziamento bisbigliata di spalle in assoluto riserbo ed intimità - e anche i tratti più grossolani non si assottigliano fino a ritrovare l'elegante equilibrio di una redenzione possibile. Solo allora ci viene in mente che Southpaw si era mosso fin dalle prime battute con raffinate movenze fin dalla scrittura. Non solo della sceneggiatura ma anche nell'estetica grafica delle righe tatuate sulle spalle del protagonista: gli stessi caratteri gotici che sfilano con i
titoli di testa del film. Ecco come e perchè abbiamo sventato il pericolo che si facesse davvero un remake del classico del 1979 Il campione. Un limite davvero inaccettabile per un team di questa portata. Per nostra fortuna!
Secondo commento critico (a cura di JUSTIN CHANG, www.variety.com)
JAKE GYLLENHAAL UNDERGOES A SOLID IF STRENUOUS TRANSFORMATION AS A BOXER REELING FROM TRAGEDY IN ANTOINE FUQUA'S HEAVY-HANDED MELODRAMA.
You can practically smell the blood, the sweat and the fierce actorly commitment rising from Jake Gyllenhaal’s bruised and tattooed body in “Southpaw,†a bluntly conventional melodrama about a champion boxer forced to undergo a grim crucible of physical, emotional and spiritual suffering. Yet the undeniable intensity of Gyllenhaal’s bulked-up, Method-mumbling performance may leave you feeling more pummeled than convinced in this heavy-handed tale of redemption, in which director Antoine Fuqua once more demonstrates his fascination with codes of masculine aggression, extreme violence and not much else. Creakily plotted over the course of its rise-and-fall-and-rise-again trajectory, this partly Chinese-funded production may land enough visceral blows to catch on with audiences on its July 24 release through the Weinstein Co., but seems less likely to attain the prestige-hit status of superior efforts
like “Million Dollar Baby†and “The Fighter.â€
That didn’t stop exec producer Harvey Weinstein from loudly speculating at a recent Cannes sneak-peek screening that Gyllenhaal would receive an Oscar nomination for his arresting transformation here, partly as “revenge†for his perceived snub in the best actor race for last year’s “Nightcrawler.†A master awards strategist like Weinstein certainly knows of what he speaks, though in this case his words tell us less about the quality of Gyllenhaal’s performance than they do about the corruption of a system that favors big, showy stunt acting above all else, and that too often hands out acting awards for reasons that are compensatory rather than merit-based. “Revenge,†meanwhile, is a particularly ironic word choice for this particular story, which puts our hero on a collision course with the man who may have cost him everything, and rather shamelessly stokes his appetite for retribution and ours.
A
rough-around-the-edges type who emerged from a life of Hell’s Kitchen foster homes and jail cells to achieve major success in the ring, light heavyweight boxing champ Billy “the Great†Hope (Gyllenhaal) seems to have everything, living a life of luxury with a wife he adores, Maureen (a strong Rachel McAdams), and their precocious young daughter, Leila (Oona Laurence). But fame comes with the usual pitfalls, and Maureen wants her husband to take a break, not only so he can spend more time with his family, but also because she fears that his ferocious, no-holds-barred boxing style will get him seriously injured or worse. Naturally, it’s Maureen who will pay the ultimate price for her perceptiveness, succumbing to an accidental gunshot wound after Billy has a violent confrontation with a trash-talking rival, Miguel Escobar (Miguel Gomez).
Reeling from this senseless tragedy, Billy quickly descends into a spiral of anger, despair, substance abuse,
poverty and violence, and winds up losing his house, his longtime manager (Curtis “50 Cent†Jackson) and, worst of all, Leila, who’s placed in the care of family services. Determined to win back custody of his daughter and gradually revive his boxing career, he takes a menial job cleaning toilets at a rundown boxing gym owned by Tick Willis (Forest Whitaker), who reluctantly agrees to oversee Billy’s training despite his distaste for the world of professional boxing. The sort of tough-love mentor who forbids drinking and swearing in his gym (yet is not immune to either vice), Tick takes a higher-minded view of the sport, giving Billy the sort of athletic education that prioritizes technique, discipline and confidence over anger, retaliation and brute force.
Particularly during the film’s first half, Fuqua deploys such a heavy directorial hand that he all but puts a chokehold on the material; he doesn’t seem to
be observing Billy’s decline so much as actively trying to break his spirit, as though having the character hit rock bottom numerous times would encourage our empathy rather than leave us feeling crudely manipulated. Fortunately, despite a third-act finale that all too conveniently allows Billy to settle his score with fate, “Southpaw†largely avoids devolving into a sort of pugilistic “Death Wish†(which comes as something of a relief, given the over-the-top Grand Guignol payback in the helmer’s previous outing, “The Equalizerâ€). The boxing scenes themselves are dynamically lensed and cut (by d.p. Mauro Fiore and editor John Refoua, respectively), and Fuqua (a boxer himself) favors a wide array of camera angles — sometimes adopting the up-close perspective of Billy’s opponent, sometimes taking a ringside seat, yet always seeking to position the viewer in the midst of a gaudy, tawdry, pulse-pounding spectacle.
At the same time, the filmmakers seem well aware
that nothing they show us can really rival the spectacle of Gyllenhaal himself, who throws himself into the role of Billy Hope with the sort of go-for-broke abandon that makes even his creepy, gollum-like turn in last year’s “Nightcrawler†look like a drama-class exercise by comparison. Having shed 15 pounds (and seemingly a few IQ points) for the part, Gyllenhaal has never looked rougher or tougher onscreen; with his closely cropped hair, his swollen face, his perpetually bloodied left eye, his skin drawn tautly across his muscles, he’s virtually unrecognizable here, which for some will be more than enough to satisfy the expectations of a truly great performance. Strangest of all is the actor’s voice, which sounds as though it’s dropped at least an octave, and his decision to speak in rumbling, inarticulate half-sentences, with almost every other word an expletive. It’s a solid if strenuous piece of acting, one
that never lets us forget every ounce of effort that went into achieving it.
Gyllenhaal has a handful of sturdy moments with Whitaker, who makes a fine foil in the role of the gruff old trainer, but the star has more difficulty establishing a credible father-daughter rapport with Laurence. As she demonstrated recently in Ross Partridge’s indie drama “Lamb,†Laurence is one of the year’s more remarkable child-acting discoveries, but she has little opportunity to show what she’s capable of here, largely because the movie forces Leila to lash out at her deadbeat dad in ways that feel more dramatically expedient than psychologically persuasive. Perhaps the central failing of this first feature screenplay by Kurt Sutter (“The Shield,†“Sons of Anarchyâ€) is that it never gets beyond its protagonist’s simplistic worldview, treating Leila more or less as a prop to be brought in and stir up periodic conflict, and likewise reducing
the figure of Miguel to a one-dimensional villain. A callous subplot involving an at-risk teenager at Tick’s gym strikes a particularly misguided note.
Production designer Derek R. Hill’s sets are convincingly inhabited, and the film makes effective use of Pennsylvania locations to capture the lavish and squalid extremes of Billy’s lifestyle (with boxing-match detours to Madison Square Garden and Caesars Palace in Las Vegas). James Horner’s synth score adds to the film’s brooding tenor, while the soundtrack was produced by Eminem, who was once floated as a possibility to play Billy Hope, and who might well have done more with the role — which is to say, less.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano 01 Distribution, Ornato Comunicazione e Valentina Calabrese (WaytoBlue)