Il caso più grande svelerà i segreti più oscuri. Il premio Oscar AL PACINO e il premio Oscar ANTHONY HOPKINS per la prima volta insieme sul grande schermo - RECENSIONE - Dal 15 GIUGNO
(Misconduct; USA 2016; Legal Thriller; 106'; Produz.: Mike and Marty Productions; Distribuz.: Lucky Red)
Soggetto: Il film è diretto da Shintaro Shimosawa, regista della serie tv con James Purefoy e Kevin Bacon The Following.
Cast: Josh Duhamel (Ben Cahill) Malin Akerman (Emily Hynes) Alice Eve (Charlotte Cahill) Al Pacino (Charles Abrams) Anthony Hopkins (Arthur Denning) Julia Stiles (Jane Clemente) Byung-hun Lee (Il contabile) Glen Powell (Doug Fields) Skye P. Marshall (Hatty) Chris Marquette (Giffords) Sue-Lynn (E.R. Nurse) Shona Gastian (Direttrice della Galleria d'Arte in abito bianco) Gregory Alan Williams (Richard Hill) Leah McKendrick (Amy) Sara Fletcher (911 Operatrice)
Musica: Federico Jusid
Costumi: Lizz Wolf
Scenografia: Bernardo Trujillo
Fotografia: Michael Fimognari
Montaggio: Gregers Dohn e Henrik Källberg
Casting: Brent Caballero
Scheda film aggiornata al:
10 Luglio 2016
Sinossi:
IN BREVE:
Ben Cahill (Josh Duhamel) è un giovane e ambizioso avvocato che si ritrova coinvolto in un delicato intrigo di potere tra Arthur Denning (Anthony Hopkins),un corrotto manager farmaceutico, e Charles Abrams (Al Pacino), uno dei soci del suo studio legale. Quando il caso prende una svolta pericolosa, l'uomo deve cercare di scoprire la verità prima di perdere tutto.
SHORT SYNOPSIS:
When an ambitious young lawyer takes on a big case against a powerful and ruthless executive of a large pharmaceutical company, he soon finds himself involved in a case of blackmail and corruption.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Che non fosse il primo legal thriller della storia del cinema già lo sapevamo. Ma quando a bordo di una storia salpano in coppia Anthony Hopkins ed Al Pacino non si può far finta di nulla. E le aspettative rampano velocemente i diagrammi di indicizzazione. In effetti non deludono mai. Neppure questa volta. E se ci vedessimo obbligati a fare una graduatoria diremmo che il vegliardo Anthony Hopkins, dall'alto del suo mellifluo, serpeggiante e sardonico ritratto, ruba in questo caso il podio al blasonato collega, con il teatro, prima ancora che con il cinema, nel sangue, e che a quanto pare non manca occasione di citare William Shakespeare ad ogni angolo di schermo. D'altra parte, per quanto i due avvocati di spicco troneggino nell'intrigo in celluloide di cui non si fa mistero che di cospirazione si tratta, si legano inevitabilmente all'inestricabile matassa che prende avvio da un tema, già battuto
Akerman, il leale e fedele amico di Ben (il Doug di Glen Powell), il feroce e spietato contabile di Byung-Hun Lee. Queste persone, ed altre ininfluenti di contorno, tra cui l'investigatrice privata Jane di Julia Stiles.
Ma il chi e il cosa lasciati deliberatamente in sospeso fanno parte dell'auspicabile suspense che dovrebbe traspirare da un legal thriller. E va bene così. Il fatto è che questa cospirazione comincia ad annodarsi su se stessa attraverso una griglia narrativa, non certo inedita - Inarritu e molti altri a seguire docent - delle tessere ad incastro con 'passeggiate' temporali avanti e indietro, carrellate su più situazioni e personaggi nello stesso fotogramma, e così via. E man mano che si procede acquisiamo tasselli aggiuntivi di informazioni mancanti su come siano andate le cose in svariate circostanze. Un'altalena di montaggio orchestrata sul mettere e sul levare che l'esordiente regista Shintaro Shimosawa si è scelto qui come
giostra di intrattenimento, ma non sempre la plausibilità di personaggi e situazioni mostra di essere a fuoco. Si tratta di una fiducia che inizia scricchiolare qua e là .
E non ancora soddisfatto della novizia esercitazione scolastica, il regista Shimosawa si permette pure il lusso di strizzare l'occhio a classici in stile anni Ottanta-Novanta, con un puntuale ammiccamento ad un altro legal thriller di ben altra levatura, come il Presunto Innocente (1990) di Alan Pakula. Il monologo scioccante della moglie Charlotte/Eve al marito Ben/Duhamel, sempre sull'onda del delitto passionale, tradisce difatti l'eco di un ben più nobile e memorabile monologo finale, allora condotto da Bonnie Bedelia ed Harrison Ford che, contrariamente all'impalato e asettico Josh Duhamel, almeno sapeva bene come mostrare la propria compressa commozione disperata senza pari e non aveva vergogna di mostrare le lacrime. Si tratta di quella plausibilità emotiva e/o circostanziale che alla fine, a dispetto del voluto
intricatissimo intrigo, manca a La cospirazione di Shintaro Shimosawa. E non è cosa di poco conto.