Festa della Donna 2021 - Seconde visioni - Cinema sotto le stelle: 'The Best of Summer 2017' - Kevin Costner e Octavia Spencer di nuovo insieme sul grande schermo dopo Black or White per una storia sui diritti umani a doppio fondo, razziale e sessista - 3 Nominations agli OSCAR 2017 - RECENSIONE ITALIANA e Preview in English by Peter Debruge (www.variety.com) - Uscito al cinema l'8 Marzo
Soggetto: Tratto dal libro di Margot Lee Shetterly, Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race.
PRELIMINARIA - Il TITOLO del film:
Figure Nascoste (Hidden Figures) è un gioco di parole che volutamente vuole esprimere un dualismo concettuale. Se da un lato le “figures†rappresentano le donne che hanno combattuto per uscire dall’oblio che veniva loro imposto a causa del sesso e del colore della pelle, dall’altro indicano i numeri matematici che stanno dietro a tutte le loro brillanti scoperte. Il titolo italiano del film, Il Diritto di Contare, gioca a sua volta con il doppio significato di contare, inteso come diritto di valere oltre che di destreggiarsi tra calcoli e cifre senza discriminazioni.
PRELIMINARIA - Tre donne speciali:
Prima ancora che la NASA ne comprendesse la genialità e iniziasse a trarne beneficio, le tre donne erano già incredibilmente speciali:
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* Katherine G. Johnson: nata nel West Virginia, si era da subito dimostrata un fenomeno, iniziando le scuole superiori a 10 anni e laureandosi in Matematica e Francese a 18 anni. Fu una delle prime a frequentare la West Virginia University e fu chiamata a lavorare a Langley nel 1953. Era una madre single con tre figli.
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* Dorothy Vaughan: originaria del Missouri e laureatasi a 19 anni, prima di andare a Langley nel 1943 aveva lavorato come insegnante di matematica. Divenne rapidamente responsabile del gruppo West Computing.
* Mary Jackson: di Hampton (Virginia), laureata in Fisica e Matematica, entrò a Langley nel 1951 con il ruolo di Ingegnere aerospaziale, specializzata in esperimenti nella galleria del vento e in dati sui velivoli aerospaziali. Si avvalse sempre della sua posizione per aiutare le altre.
Musica: Benjamin Wallfisch, Pharrell Williams e Hans Zimmer
Costumi: Renee Ehrlich Kalfus
Scenografia: Wynn Thomas
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Peter Teschner
Effetti Speciali: Mark R. Byers (supervisore)
Makeup: Beverly Jo Pryor (direttrice); Selena Evans-Miller e Quintessence Patterson
Scheda film aggiornata al:
14 Agosto 2024
Sinossi:
In breve:
Hidden Figures racconta la vera storia delle colleghe Katherine Johnson (Henson), Dorothy Vaughn (Spencer) e Mary Jackson, le tre matematiche afro-americane dietro una delle più grandi operazioni nella storia degli Stati Uniti: il lancio in orbita, il 20 febbraio 1962, del primo astronauta americano, John Glenn. Kevin Costner interpreta il capo e coordinatore delle donne nel programma spaziale della Nasa.
Glenn fu la risposta americana al volo di Yuri Gagarin con il quale i sovietici, dieci mesi prima, il 12 aprile 1961, avevano conquistato la medaglia del primo uomo in orbita. La sua missione durò 4 ore e 55 minuti durante le quali la capsula su cui viaggiava completò tre orbite intorno alla Terra a una quota tra 160 e 262 chilometri. La discesa avvenne nell’oceano Atlantico a 1300 chilometri a sud-est dell’isola di Bermuda.
SHORT SYNOPSIS:
A team of African-American women provide NASA with important mathematical data needed to launch the program's first successful space missions.
As the United States raced against Russia to put a man in space, NASA found untapped talent in a group of African-American female mathematicians that served as the brains behind one of the greatest operations in U.S. history. Based on the unbelievably true life stories of three of these women, known as "human computers", we follow these women as they quickly rose the ranks of NASA alongside many of history's greatest minds specifically tasked with calculating the momentous launch of astronaut John Glenn into orbit, and guaranteeing his safe return. Dorothy Vaughn, Mary Jackson, and Katherine Johnson crossed all gender, race, and professional lines while their brilliance and desire to dream big, beyond anything ever accomplished before by the human race, firmly cemented them in U.S. history as true American heroes.
il frutto di una conquista lenta a cavallo di una dignitosa ostinazione e di un talento fuori del comune. Anche all'ombra della NASA. Una sorta di eroismo pionieristico nel raggiungimento di traguardi sociali impensabili all'epoca. Una storia vera rimasta fino ad oggi nei silenziosi anfratti di una memoria sottaciuta e relegata negli archivi da soffitta, malgrado abbia fatto la differenza.
Tratto dal libro di Margot Lee Shetterly, Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race, il film mantiene nel titolo originale 'hidden figures', il gioco di parole che mira ad esprimere il doppio senso concettuale: dietro le "figures" ci sono donne che hanno combattuto per uscire dall’ombra dell'isolamento, imposto loro a causa del sesso e del colore della pelle, ma ci sono anche tutti i numeri di quella matematica elaborata a un livello superiore tale da condurle ad obiettivi altrimenti fallimentari. Per una volta il
titolo italiano non vuole essere da meno: Il Diritto di Contare gioca a sua volta con il doppio significato di 'contare' nel senso di valere come persone senza discriminazioni ma anche come destreggiarsi al meglio tra calcoli e cifre. Tre matematiche afroamericane sono per l'appunto le protagoniste de Il diritto di contare, film che finalmente svela al grande pubblico la vera storia delle colleghe Katherine Johnson (Taraji P. Henson, Il curioso caso di Benjamin Button), Dorothy Vaughn (Octavia Spencer, The Help, Black or White), il supervisore di fatto anche se non di nome, e Mary Jackson (debutto al cinema, con Moonlight, della cantante pop Janelle Monáe).
bagni era in prima linea. Questione che trovava la sua ragione di essere in una sorta di immaginario spauracchio della paura preconcetto. Una di quelle vergogne messa già abbondantemente alla berlina nel precedente The Help (2012) di Tate Taylor - pellicola candidata a 4 premi Oscar in cui compariva peraltro la stessa Octavia Spencer nei panni dell'irriverente e combattiva Minny Jackson. E la questione interraziale è un punto. Ma Il diritto di contare viene ora qui rivendicato non solo da persone di colore, ma da donne di colore. E non da donne qualsiasi, ma da vere professioniste operative in una location tanto elettiva e selettiva come la NASA. Dei veri e propri 'computer umani'. Guarda caso in un’epoca in cui, agli albori della IBM, non esistevano ancora i super elaboratori digitali capaci di tracciare con precisione la traiettoria dei razzi con la parabola per il rientro sulla Terra.
dice lunga sul suo modo di tagliar corto e sulla scala delle sue priorità . Un gesto che d'altra parte, mentre ha favorito la velocità nel raggiungimento dell'obiettivo, ha abbattuto, è proprio il caso di dirlo, in un colpo solo uno degli aspetti più assurdi della discriminazione sociale. Il talento e il lavoro duro delle protagoniste, ognuna con uno specifico obiettivo, sbarrato dalle stesse barriere, hanno fatto la differenza. E l'hanno fatta non solo sul piano della conquista individuale, ma solidale e collettiva. Hanno aperto a tutte quel varco invalicabile prima di loro, con perseverante pazienza ed umiltà , e con tutta la potente forza di mente e talento tali da far capitolare i colleghi uomini, ma anche donne di razza bianca: la Vivien di Kirsten Dunst è il caso più esemplare ma non l'unico.
Uno sguardo apparentemente semplice ma non certo semplicistico dunque, che, oltre alla documentazione esistente, rispolverata e fatta propria
dall'autrice del libro Margot Lee, aggiunge solidità alle già stabili fondamenta con l'intervento della sceneggiatrice Allison Schroeder. Considerato il soggetto, non è privo di interesse il fatto che la Schroeder abbia non solo studiato matematica avanzata, ma che sia pure stata stagista alla NASA, seguendo le orme della nonna, programmatrice della NASA fino all’epoca del programma Shuttle, e del nonno, che ha partecipato al progetto Mercury. Il fatto poi che la stessa Schroeder, conoscendo la storia della NASA, non avesse mai sentito i nomi di Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, suona piuttosto clamoroso. Il film ha colmato così una lacuna importante con un doveroso omaggio alle donne speciali della West Computing che, tra una miriade di sfide quotidiane, non di rado eroiche - ad esempio Katherine G. Johnson, oggi ultranovantenne, all'epoca era anche madre single con tre figlie - con pazienza e un certo senso dello humour,
confidando nella collaborazione solidale e nell'indice massimo della loro efficiente capacità , conquistarono il rispetto mentre andavano trasformando ad un tempo le proprie vite, la tecnologia e il Paese.
Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)
Feel-good drama reveals the largely untold way in which race factored into the U.S.-Soviet space race.
Before IBM mainframes took over NASA’s number-crunching duties, the organization’s “computers†wore skirts. While an all-male team of engineers performed the calculations for potential space travel, women mathematicians checked their work, playing a vital role at a moment when the United States was neck-and-neck with (and for a time, running behind) the Soviets in the space race. As brash, bright, and broad as Hollywood studio movies come, “Hidden Figures†tells the story of three of these unsung heroes, all of them African-American, who fought a doubly steep uphill battle — as crusaders for both feminism and civil rights in segregated Virginia — to help put an American into orbit.
Today, there is nothing surprising about the fact that black women could handle such a task, and clearly NASA was realistic enough to recognize this
at the time. What wasn’t necessarily evident in 1962 was that these “colored computers,†as they were called by NASA, deserved to be afforded the same rights and treated with the same respect as their white male colleagues — and what director Theodore Melfi (“St. Vincentâ€) illustrates via his simplistic, yet thoroughly satisfying retelling is just how thoroughly the deck was stacked against these women. “Hidden Figures†is empowerment cinema at its most populist, and one only wishes that the film had existed at the time it depicts — though ongoing racial tensions and gender double-standards suggest that perhaps we haven’t come such a long way, baby. Now 98, Taraji P. Henson’s character, Katherine Johnson (after whom NASA later named a computational research facility), lived long enough to see a black president, but not a female commander-in-chief.
Like “American Graffiti†or “The Help,†“Hidden Figures†takes place in a colorful, borderline-kitsch
version of the American past. (Practically brandishing its vintage details and stunning costumes, the film takes place at roughly the same time and place as Jeff Nichols’ “Loving,†which offers a less splashy notion of the era in question.) An early scene shows Katherine and colleagues Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) and Mary Jackson (Janelle Monáe) repairing the Chevy Impala in which they carpool, when a white police officer pulls over in a scene whose tension hasn’t dissipated one iota in half a century. Once the cop realizes who they are, he volunteers to give the women a police escort. “Three negro women are chasing a white police officer down the highway in Hampton, Virginia, 1961,†quips Mary. “Ladies, that there is a God-ordained miracle!â€
If only everyone’s mind could so easily be changed. At work, Katherine is promoted to a job with the Space Task Group, where manager Al Harrison (Kevin
Costner, whose gum-chewing, crew-cut look nails the era) is too distracted to notice tension between his employees, especially boss’s pet Paul Stafford (Jim Parsons, playing the sort of reductive stereotype that talented minorities have been forced to settle for over the past century — not ideal, as characterizations go, though such payback seems only fair).
Meanwhile, Dorothy takes orders from a curt, condescending white lady (Kirsten Dunst), who addresses Dorothy by her first name, and offers little help with her request for supervisor status. As a woman, Vivian can empathize with Katherine’s workplace challenges; and yet, as a white woman, she doesn’t get it at all, oblivious to her subconscious role in keeping her black colleagues down (“Y’all should be thankful you have jobs at all,†she says), for which Dorothy quite rightly puts her in her place.
As in “Mad Men,†so much of the gender and race dynamics are conveyed
via body language, subtext, and the telling way characters look at one another. But unlike the wonderfully subtle writing for that relatively sophisticated series, the “Hidden Figures†screenplay — which Melfi and Allison Schroeder adapted from Margot Lee Shetterly’s newly published nonfiction book — has a tendency to deliver its message via direct, on-the-nose dialogue (e.g. after defusing the segregated-bathroom problem, Kevin Costner decrees, “Here at NASA, we all pee the same color!â€).
The bathroom scene is by far the movie’s most satisfying, in that it follows a series of cartoonish vignettes in which Katherine must dash half a mile in high heels, clear to the West Computing Building, in order to relieve herself — a daily humiliation amplified by the sound of a new Pharrell track called “Runnin’.†(Also a producer on the film, Pharrell puts a playful, upbeat spin on the patent unfairness these women faced, culminating in his
terrifically empowering, gospel-infused “Victory.â€) As vital as these scenes are, it’s practically groan-inducing to watch Henson — a talented actress whose exaggerated portrayal of a math whiz suggests Michelle Pfeiffer’s smart, yet haggard pre-Catwoman secretary in “Batman Returns†— awkwardly pantomiming someone with a bladder about to burst, but that’s the broad acting style Melfi encourages, and it’s the kind that inspires spontaneous ovations at the end of implausible monologues. (As crowd-pleasing ingredients go, “Hidden Figures†has nearly everything except a scene of a cat being rescued from a tree.)
Henson’s co-stars manage to play their own recurring challenges in more convincing ways — best exemplified as the beautiful, self-confident Mary (Monáe, launching a formidable acting career, between this and “Moonlightâ€) petitions the judge to let her take the necessary night courses that will allow her to apply for an open engineering position at NASA. Spencer’s Dorothy also faces obstacles at
every turn, but cleverly anticipates how the IBM (which amusingly can’t even fit through the door of the empty room that awaits its arrival) will render her division obsolete, and plans accordingly, making herself indispensable.
Among the male roles, Mahershala Ali is every bit as strong as Costner at playing a skeptical man quick to recognize Katherine’s talents — supplying the film’s only romantic subplot in the process — while all-American astronaut John Glenn (Glen Powell) doesn’t so much as hesitate to accept the computers’ contributions. Before the launch of his Friendship 7 vessel, Glenn says, “Let’s get the girl to check the numbers.†When Harrison asks, “Which one?†Glenn doesn’t miss a beat: “The smart one."
Perle di sceneggiatura
Dorothy Vaughn (Octavia Spencer): "Nessuno può dirti di essere migliore di qualcun altro e nessuno può dirti di essere meno di chiunque altro".
Hal Harrison (Kevin Costner): "O raggiungiamo l’obiettivo insieme o non ce la faremo mai"
Commenti del regista
"Cerco di far capire alle mie figlie che nella vita si può fare qualunque cosa se ci si dedica con tutta l’anima e il cuore – e questo comprende anche la matematica e la scienza. Voglio che sappiano di avere un proprio valore e che potranno crearsi una vita ricca di soddisfazioni grazie alle loro capacità . Questo film mi ha dato l’opportunità di far sapere alle mie bambine che possono aspirare a diventare delle Katherine Johnson"
Altre voci dal set:
La sceneggiatrice Allison Schroeder:
"Sapevo dei cosiddetti ‘computer umani’ della NASA ma, sinceramente, non avevo mai sentito parlare di un gruppo separato di ‘computer umani’ afro-americani. Quando mia nonna ha iniziato a lavorare alla NASA, vi era già una maggiore integrazione. Sapevo che all’agenzia lavoravano moltissime donne e poi alcuni loro rappresentanti erano venuti alla nostra scuola in cerca di stagisti fra le donne e le minoranze. È così che ho iniziato la mia collaborazione con la NASA e che ho scelto di studiare matematica e scienze. Sapevo quindi che per la NASA l’inclusione sociale era un aspetto importante"
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano 20th Century Fox e Samanta Dalla Longa (QuattroZeroQuattro)