RECENSIONE - Nel thriller di Yuval Adler (Bethlehem, The Operative) Noomi Rapace (trilogia 'Millennium') torna sul grande schermo nelle vesti di una sopravvissuta intrappolata in un limbo tra vendetta e riconciliazione, ponendo allo spettatore una domanda cruciale: la vendetta può consolare o aiutare a dimenticare un trauma? - Dal 15 Ottobre
"Ho guardato ore di documentari e testimonianze di sopravvissuti. Ho scoperto di essere particolarmente interessato al modo in cui le donne affrontano e cercano di guarire dal trauma della guerra, cercando disperatamente di ricostruire una vita dopo la disumanizzazione e il genocidio"
Il co-sceneggiatore Ryan Covington
(The Secrets We Keep; USA 2020; Thriller; 97'; Produz.: AGC Studios, Di Bonaventura Pictures, Echo Lake Entertainment, Kirkhaus Films; Distribuz.: Vision Distribution e Cloud 9 Film)
Titolo in italiano: The Secret - Le verità nascoste
Titolo in lingua originale:
The Secrets We Keep
Anno di produzione:
2020
Anno di uscita:
2020
Regia: Yuval Adler
Sceneggiatura:
Ryan Covington e Yuval Adler
Soggetto: Un thriller che analizza in profondità le conseguenze della vendetta e della violenza: un esame di coscienza che ruota in modo provocatorio intorno alla difficile scelta tra perdono e desiderio di riscatto, raccontata attraverso gli occhi di una sopravvissuta all’Olocausto.
Cast: Noomi Rapace (Maja) Joel Kinnaman (Thomas) Chris Messina (Lewis) Amy Seimetz (Rachel) Jackson Dean Vincent (Patrick) Madison Paige Jones (Annabelle) Jeff Pope (Jim White) David Maldonado (Agente Brouwer) Ed Amatrudo (Dr. Sonnderquist) Ritchie Montgomery (Mitchell) Lucy Faust (Patricia) Victoria Hill (Claire)
Musica: John Paesano
Costumi: Christina Flannery
Scenografia: Nate Jones
Fotografia: Kolja Brandt
Montaggio: Richard Mettler
Effetti Speciali: David K. Nami (coordinatore effetti speciali); David Lebensfeld e Grant Miller (supervisori effetti visivi)
Scheda film aggiornata al:
03 Novembre 2020
Sinossi:
In breve:
Maja (Noomi Rapace) scampata agli orrori della guerra, si è ricostruita una vita serena in una piccola cittadina americana, insieme a suo marito Lewis (Chris Messina). Un giorno, lungo la strada, le sembra di riconoscere il suo carnefice (Joel Kinnaman) e, dopo vari dubbi e appostamenti, decide di rapirlo, pensando di vendicarsi per gli atroci crimini di guerra che crede abbia commesso contro di lei.
La memoria. Memoria storica ma anche memoria privata. Memoria di misfatti ed orrori a vario titolo. Quando gli abusi si sono sprecati, soprattutto a carico di donne, a maggior ragione se di etnie straniere e ritenute minoritarie, più per grado di importanza che per numero. Argomento tutt’altro che inedito al cinema. Anzi, un soggetto battuto e ribattuto su più fronti, negli anni. Soggetto sfrangiato, più o meno realistico, più o meno romanzato, o entrambe le cose: basti pensare a La ciociara, mitica pellicola (1960) del mitico Vittorio De Sica (e Cesare Zavattini) con una altrettanto mitica Sophia Loren. L’omonimo romanzo nientemeno che di Alberto Moravia aveva gettato le basi. Le basi di quel che tristemente può riassumersi in sole due parole: ‘crimine di guerra’, in quel caso con specifico riferimento alla cosiddette ‘marocchinate’ - il termine ‘giocoso’ risuona come un insulto al quadrato! - perpetrate durante la seconda guerra mondiale.
direbbe in buona compagnia con il resto di ‘personaggi cartolina’, anemici, statici, senza autentico mordente: da Chris Messina nei panni del marito ignaro del terribile segreto della moglie, mai rivelato fino al momento del fatale incontro con il presunto carnefice del passato, il Thomas di Joel Kinnaman. Per non dire del figlio Patrick, imbambolato e assolutamente insignificante tanto quanto la moglie del perseguitato Rachel (Amy Seimetz), per nulla in ansia e tutta sorrisetti vacui.
A dispetto del tentativo di ricreare con la fotografia dai toni seppiati la miglior riflessione possibile sul logorante punto di domanda, basculante tra vendetta e perdono, la stessa struttura filmica con script a seguito, mostra una debolezza da fuoco di paglia, senza alcuna profondità di prospettiva, in cui una manciata di flashback di memoria si direbbe più vicina alla ‘veste patinata’ del fotoromanzo che non alla vibratile ed autentica emozione verista, così come ci si aspetterebbe
Perciò si direbbe che la coppia cinematografica Joel Kinnaman-Noomi Rapace, amici dall’età del liceo frequentato insieme in Svezia, abbia indubbiamente fatto di meglio in occasione della precedente collaborazione in Child 44: altra regia (Daniel Espinosa), solida fonte letteraria di riferimento (il romanzo di Tom Rob Smith), altro cast (Tom Hardy, Gary Oldman, Vincet Cassel e Jason Clarke tra gli altri ad affiancare gli stessi Joel Kinnaman e Noomi Rapace), altro risultato. Non sono state evidentemente sufficienti le (ovvie) ricerche e
motivi di ispirazione sul tema: vedi l’intervista ad una donna sopravvissuta al - purtroppo famoso, come tutti ben sanno - campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Il racconto di un episodio che le aveva causato un trauma profondo, assommato ad altri terribili traumi già vissuti, e che è andato a costituire il movente del film in questione. Ma a ben vedere, il movente del racconto della donna sopravvissuta nella realtà è ben più logico e forte: la testimone racconta di aver ascoltato un ex soldato tedesco vantarsi con un'altra persona in pubblico, descrivendo con dovizia di particolari le proprie brutali gesta all’interno dei campi di concentramento. Questo significa non essersi mai ravveduti e tanto meno pentiti o aver cercato di voltar pagina. Il che non giustifica nulla, ma traccia comunque una sostanziale differenza. Il punto di domanda in questo caso potrebbe allora porsi così: come si potrebbe reagire, avendo subito abusi
pesantemente traumatizzanti, nel momento in cui si venisse in contatto con la ‘glorificazione’ del misfatto perpetrato ai nostri danni? Mi sembra un po’ diverso da quel che succede nel film!
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)