VENUTO AL MONDO: ANCORA UNA VOLTA, DOPO IL TOCCANTE E TRAVOLGENTE 'NON TI MUOVERE', UN ROMANZO DI MARGARET MAZZANTINI VEDE LA CELLULOIDE CON SERGIO CASTELLITTO COME REGISTA E PENELOPE CRUZ COME INTERPRETE PROTAGONISTA
RECENSIONE IN ANTEPRIMA - Dal Toronto Film festival 2012 - Dall'8 NOVEMBRE
Effetti Speciali: Marco Salvati e Sergio Stivaletti
Casting: Laura Muccino
Scheda film aggiornata al:
25 Novembre 2012
Sinossi:
IN BREVE:
Il telefono squilla, Gemma (Penelope Cruz) risponde. E' un vecchio amico che chiama da Sarajevo e le chiede di ritornare in quella città . Gemma prende un aereo con suo figlio Pietro e si ritrova catapultata nel passato, in quella città straziata dalla guerra, nella quale ha conosciuto l'amore. In un continuo balletto di presente e passato, ricostruiamo la vita della protagonista e scopriamo davvero cosa la lega a quella città , dove la guerra ne ha cambiato il destino.
IN DETTAGLIO:
Carica di ricordi degli anni di guerra, Gemma si reca a Sarajevo con suo figlio Pietro per assistere a una mostra in memoria delle vittime dell’assedio, che include le fotografie del padre del ragazzo. Diciannove anni prima, Gemma lasciò la città in pieno conflitto con Pietro appena nato, lasciandosi alle spalle suo marito Diego, che non avrebbe mai più rivisto, e l’improvvisata famiglia sopravvissuta all’assedio: Gojko, l’irriverente poeta bosniaco, Aska, la ribelle ragazza musulmana e la piccola Sebina. L’intenso amore e la felicità tra Diego e Gemma non erano abbastanza per colmare l’impossibilità di Gemma a concepire figli. Nella Sarajevo distrutta dalla guerra, i due trovarono una possibile surrogata, Aska. Gemma spinse Diego tra le sue braccia per poi essere sopraffatta dal senso di colpa e dalla gelosia.
Ora una verità attende Gemma a Sarajevo, che la costringe ad affrontare la profondità della sua perdita, il vero orrore della guerra e il potere di redenzione dell’amore.
Commento critico (a cura di ERMINIO FISCHETTI)
È cosa risaputa che l’ignoranza è una brutta bestia. Se poi è unita alla boria e all’arroganza culturale può uscire un film come Venuto al mondo. Pellicola che Sergio Castellitto adatta dal romanzo omonimo della moglie Margaret Mazzantini, la quale è autrice della sceneggiatura stessa del film. La storia è quella di Gemma, una donna italiana che dopo molti anni torna a Sarajevo per far vedere al figlio adolescente i luoghi nel quale è nato, oltre ad una mostra di fotografie del conflitto serbo-bosniaco nella quale sono presenti anche gli scatti del padre del ragazzo. Gemma, infatti, negli anni Ottanta incontra e si innamora in Bosnia di un giovane fotografo americano, Diego. Lui segue la donna a Roma e presto i due cominciano una storia, offuscata dalla sterilità di lei. Il dolore è troppo forte per Gemma, che vuole assolutamente dare al suo compagno un figlio di sangue che gli
assomigli. Nel frattempo è passato qualche anno e a Sarajevo imperversa la guerra civile. Gemma e Diego si recano a far visita ai loro fedeli amici di gioventù e trovano la perfetta madre surrogata per il bambino. Ma non tutto va per il verso giusto.
Venuto al mondo si struttura attraverso il meccanismo narrativo del flashback per raccontare passato e presente di un mondo piegato dalle ceneri di un conflitto insensato, che dopo vent’anni riconduce nella sua popolazione ancora brandelli di cicatrici morali e affettive che non si rimarginano e mai forse accadrà . Questo è quello che sulla carta il film vorrebbe raccontare. Paradossalmente, però, il problema principale della narrazione è l’assoluta estraneità al conflitto, la totale assenza di partecipazione ad un evento fra i più dolorosi della storia recente, veicolo di una storia raccontata da chi la guerra non la conosce affatto e non gli interessa trovarne una matrice reale
se non attraverso stucchevoli siparietti di raccordo. Il concetto di dolore, infatti, si allontana dalla sua ampiezza universale e diventa tutto privato, concentrato sulla figura esile di una donna totalmente egoista: sembra che l’unica cosa essenziale su quello sfondo sia generare un figlio di carne, poi il mondo può andare a rotoli. Questo è quello che traspare dal lavoro di Castellitto e della Mazzantini. Un errore di partenza, probabilmente accresciuto dalle caratteristiche di una protagonista priva di qualsivoglia spessore, se non questa sua ossessione della maternità , ritratta dal regista attraverso tutte le banalità psicologiche del caso e peggiorata da un uso della macchina da presa auto compiaciuto che si sofferma sul dolore come in uno spot pubblicitario, composto di ridondanze musicali, sottolineature kitsch di montaggio, patinatura estetica. Un film dove il melodramma si affida a stereotipi patetici e puerili di un barocchismo esasperato, che nella prima parte conduce a interpretazioni
di una comune donna di mezz’età ). La prova del nove è confermata dalla solita scena radical chic nella quale i protagonisti con la madre surrogato si fanno una bella canna e ballano tutti insieme e cominciano a ridere (quante volte l’abbiamo vista negli ultimi anni nel cinema italiano?) poco prima dell’esplosione delle bombe.