Liam Neeson ex poliziotto ai limiti della legalita' - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by ANDREW BARKER (www.variety.com) - Dal 18 SETTEMBRE
"Ho iniziato a scrivere di Matthew Scudder a metà degli anni ’70. Devo ammettere che a volte, in questi anni, ho pensato che la serie si fosse esaurita, che fosse arrivata al capolinea, salvo accorgermi, poi, che in realtà avevo ancora tanto da dire e da raccontare su questo personaggio".
Lo scrittore Lawrence Block
"Nei romanzi di Lawrence ci sono due elementi ricorrenti: il tormento interiore di Scudder e la situazione, sempre ricca di implicazioni emotive, che il personaggio è chiamato a vivere. Scudder è sempre sotto pressione, le circostanze sempre estremamente tese".
La produttrice Stacey Sher
(A Walk Among the Tombestones; USA 2014; Thriller; 114'; Produz.: 1984 Private Defense Contractors/Cross Creek Pictures/Da Vinci Media Ventures/Double Feature Films/Exclusive Media Group/Free State Pictures/Jersey Films/Traveling Picture Show Company (TPSC); Distribuz.: Eagle Pictures)
Titolo in lingua originale:
A Walk Among the Tombestones
Anno di produzione:
2014
Anno di uscita:
2014
Regia: Scott Frank
Sceneggiatura:
Scott Frank
Soggetto: Basato sulla serie di romanzi gialli best seller di Lawrence Block, di cui A Walk Among the Tombstones (in Italia edito con il titolo Un’altra notte a Brooklyn), è il 10°, tratteggia i casi della turbolenta vita privata di Matthew Scudder e del suo intimo desiderio di riscatto personale.
Private investigator Matthew Scudder is hired by a drug kingpin to find out who kidnapped and murdered his wife.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
L'INTENSA VITA INTERIORE DELL'INVESTIGATORE MATT SCUDDER, ANCOR PRIMA DELLE SUE AZIONI, DECOLLA CON L'ANIMA INTROSPETTIVA E SOLITARIA DI LIAM NEESON, PERFETTAMENTE A SUO AGIO IN RUOLI DEL GENERE, PER I QUALI, OLTRE CHE NATURALMENTE VERSATO, SEMBRA AVERE UNA VERA E PROPRIA PREDILEZIONE. LO ACCOMPAGNA LA REGIA DI SCOTT FRANK (GIA' SCENEGGIATORE DI 'OUT OF SIGHT', 'MINORIY REPORT' E 'WOLVERINE-L'IMMOTALE') VOLTEGGIANDO TRA LA POESIA DI DETTAGLI-INDIZIO CHE TRATTEGGIANO LA RAFFINATA ELEGANZA DI UN NOIR VECCHIO STAMPO, E LA SPORCA MATTANZA DEI B-MOVIE DI GENERE, CONDITA CON QUALCHE INCONGRUENTE INGENUITA'
Lo schermo nero apre sul primo fotogramma desaturato e nebuloso, tanto quanto lo scorcio in primissimo piano di un profilo, di lì a poco sorpreso in degna compagnia. La macchina da presa a un palmo di mano, si appunta su uno scorcio raccolto in campo cortissimo. Una breve sosta sulla nuca tradisce la sua postazione alle spalle. Le spalle di due individui di
cui ancora non è dato conoscere l'identità . Ed è già mistero, mentre il noir alita nell'aria. E non sarà immediato accordarsi con il profilo di Liam Neeson, calato nei panni del classico e popolare Matt Scudder, all'altezza di un cruciale episodio da poliziotto in servizio, tradotto in un sinistro figuro pallido e annebbiato con baffi e barba, con la mano tanto lesta quanto l'occhio poco lucido. Sapremo di più sul suo conto nel corso di questo intreccio narrativo raccolto da Scott Frank (lo sceneggiatore di Out of Sight, Minority Report e Wolverine - L'immortale) dal decimo libro di una serie, Una notte a Brooklyn, là dove Scudder/Neeson accetta riluttante di occuparsi della morte della moglie dello spacciatore Kenny Kristo, rapita e brutalmente assassinata. Così, goccia a goccia, ci troveremo faccia a faccia con i demoni personali del nostro 'introverso animale solitario' Scudder, per i quali l'alcool non è stato altro
tempi della meditazione. Versi che romanticamente inneggiano in un ultimo sussurro alla solarità della vita prima dell'orrenda 'caduta' che la strapperà via, letteralmente smembrandola. Per questo Neeson, naturalmente versato al thriller investigativo in ruoli condotti con un'interiorità variamente 'stropicciata' (Io vi troverò, i vari Taken, The Next Three Days) non ci farà sentire la mancanza dello Scudder vestito molti anni addietro da Jeff Bridges in Otto milioni di modi per morire (1986) di Oliver Stone. Ma forse qualcuno potrà sentirsi nostalgico in merito alla regia, dotata forse di una maggior stabilità e coerenza. Non so.
Se ad ogni modo il contrapposto nel personaggio protagonista è un classico che non manca mai - e Scudder/Neeson qui non fa eccezione in questa sua intrigante 'passeggiata tra le pietre tombali', così come recita il titolo originale legittimando la crucialità di una location ignorata dall'insignificante titolo italiano 'La preda perfetta' - e se è vero
che Frank si è fidato ed affidato per lo più, la fotografia sottoscrive, al giallo 'old school', è anche vero che sembra qui aver esteso il canonico contrapposto dal personaggio all'intera storia. Sarà per questo che il film dà quasi l'impressione di esser stato confezionato da due mani diverse: tanta poesia e sicurezza nella prima parte sembra difatti contraddetta nella seconda, ben più malferma e a tratti persino dozzinale, declinata da un certo punto in poi sulla mattanza esibita a oltranza, più propria dei B-Movie di genere, se non del giallo fumettistico. E non si è neppure del tutto liberi da qualche ingenua incongruenza: si pensi ad esempio alla collaborazione di T. J., il ragazzino di colore senza fissa dimora, abbandonato a se stesso, in cui è 'inciampato' casualmente Scudder nel suo percorso, prima di affezionarsene e prendersene cura! Il ragazzino cui, per inciso, in una sorta di 'barocca' dichiarazione
d'amore per il giallo vecchio stampo, il regista mette in bocca i nomi di Sam Spade e Philip Marlowe una volta di troppo e a cui affida l'onore e l'onere di instillare qua e là schegge di sardonico umorismo. Una collaborazione che da un certo punto in poi si tinge dell'improbabile, con uno Scudder improvvisamente ridotto ad un qualcosa di molto simile allo sprovveduto. Eppure non mancano neppure qui, illuminati spunti di sceneggiatura, dall'alto del suo ambizioso flirt dichiarato per 'la desolazione tipica degli scrittori scandinavi di crimine', e di montaggio, declinato sull'alternanza tra le sanguinolente tappe dell'epilogo e quei densi passi letti in pubblico, come un decalogo biblico, all'anonima alcoolisti. E' solo allora che, giunto al termine di quella 'insidiosa passeggiata', il Matt Scudder di Liam Neeson avrà scoperto tutte le sue carte ed è solo allora che si avrà come l'impressione che abbia finalmente trovato la chiave che
cercava da tempo, per sopire i demoni del suo tormento. Almeno fino ad un nuovo episodio della serie?
Secondo commento critico (a cura di ANDREW BARKER, www.variety.com)
LIAM NEESON GOES A SHADE SUBTLER THAN 'TAKEN' IN THIS WELL-MADE BUT NOT ALWAYS WELL-JUDGED DETECTIVE THRILLER
Scott Frank’s detective thriller “A Walk Among the Tombstones†is, at heart, a fully old-fashioned pulp potboiler — set in the convincingly ancient-feeling era of 1999 — enlivened on one hand by a committed Liam Neeson, playing a more cerebral version of his usual avenging heavy, and soured by some predictable yet relentlessly sadistic savagery toward women. Too formally well crafted to be dismissed, but too straightforward and uncurious to be particularly exciting or insightful, this adaptation of Lawrence Block’s novel ought to at least provide a healthy counterprogramming option at the box office.
Starting with a 1991 prologue, we’re introduced to detective Matt Scudder (Neeson), a racial-epithet-spewing drunken cop straight out of the Popeye Doyle school. Double-fisting whiskey with his morning coffee, Scudder happens to be out of sight in a tavern when
a trio of armed assailants burst in and shoot the barkeep. Scudder gives chase and takes out all three, only later realizing a young girl was killed in the crossfire.
Come 1999, Scudder has retired from the police force and given up the drink, working as a kindly unlicensed P.I. when he’s not telling his story at AA meetings. Through a fellow addict, he’s introduced to Brooklyn drug trafficker Kenny Kristo (Dan Stevens), who hires him to locate the two men who abducted his wife. Kenny already paid the ransom, only for the kidnappers to lead him to a car with his wife’s butchered body in the trunk. Now he simply wants revenge.
Taking on the case, the technophobic Scudder relies on his wits and shoe leather, tracking suspicious types through the boroughs, reading up on old cases in library archives, and at times simply wandering the streets. Neeson’s late-career evolution into
one of modern cinema’s most reliable action stars has been something of an odd turn — possessed as he is of such an inherent likability and an ineluctable kindness in his eyes — and it’s a pleasure to see him allowed to play a quieter character here than the rope’s-end brawlers he’s limned of late.
Along the way, he’s assisted by a sardonic homeless teenager named TJ (Brian “Astro†Bradley), who sleeps in the library and helps Scudder with Internet research. (The impending Y2K bug is a popular conversation topic throughout.) The character is a bit hard to buy — and he speaks with urban slang that would have seemed suspiciously out of date 15 years ago — yet his relationship with Scudder somehow works, as TJ attempts to serve as a sort of assistant, having absorbed volumes of Hammett and Chandler in his spare time. Gradually, the two realize that
Scudder’s current case is not the first of its kind: A pair of kidnappers have been targeting the wives of drug dealers (who are unlikely to go to the police) for months, always viciously killing their captives once payment has been received.
It would hardly be an exaggeration to state that every single female character of any note in “A Walk Among the Tombstones†is either stalked, mutilated, raped or murdered (in non-graphic yet disquieting, disturbingly stylized detail), and none is granted more than a line or two of dialogue along the way. (Curiously, the literary Scudder’s love interest Elaine Mardell has been cut from the adaptation, as well as previously attached cast member Ruth Wilson.) Frank certainly never waters down the gruesomeness of the story’s violence, which is philosophically commendable, but the film he’s constructed is otherwise too much of a meat-and-potatoes genre exercise to bear the weight of such
horrors.
Part of the fault here may lie in Frank’s presentation of the killers, who spend the first half of the film as shadowy boogeymen, only to be formally introduced as an apparent gay couple reading the morning paper over breakfast. Played by David Harbour and Adam David Thompson, these two are hardly budding Buffalo Bills, and Frank never figures out what to do with their characters: Lacking any sort of recognizable motivations for their grotesque crimes, the newly visible villains diffuse a degree of the film’s tension and introduce an odd undertone of oblique homophobia along the way.
In the film’s strangest scene, the two killers are seen casing out a Russian drug lord’s house when they happen upon his preteen daughter (Danielle Rose Russell) crossing the street. They stare in disbelief as she walks by, waving at them in slow-motion, with Donovan’s “Atlantis†playing on the soundtrack, a sequence bizarrely
reminiscent of Bo Derek running across the beach in “10.†Are we supposed to be inside the twisted minds of the kidnappers here, experiencing the first sight of their future torture victim as something akin to first love? If so, it’s a gamble that the film botches entirely, and the scene simply hangs there in the mind, as uncomfortable as it is unrevealing.
Otherwise, Frank orchestrates the more straightforward thriller setpieces with a good deal of panache and style. The climatic shootout is handled well; a quietly bravura interview sequence in a rooftop pigeon coup is better still. Mihai Malaimare Jr.’s photography is consistently impressive, and composer Carlos Rafael Rivera offers a score that is unexpectedly melodic, yet entirely effective.