L'ULTIMO LUPO: JEAN-JACQUES ANNAUD (IL NOME DELLA ROSA, L'ORSO) BALLA COI LUPI E SEMBRA ESSER RIUSCITO A FARSI PERDONARE IL TORTO INFLITTO IN PASSATO ALLA CINA CON 'SETTE ANNI IN TIBET'
THE BEST OF 'CINEMA SOTTO LE STELLE' (Cinema all'aperto - Estate 2015) - Bif & St 2015 - RECENSIONE - Dal 26 MARZO
"Dicevano che un regista cinese non avrebbe potuto affrontare questi temi, sono troppi delicati, e loro non volevano un americano. Io sono 'neutro' e ho fatto molti film con gli animali... Ho offeso la Cina con 'Sette anni in Tibet' ed è importante che dopo tutto questo abbiamo deciso di non parlarne. Sono molto grato, dice molto della Cina di oggi... l'ho trovato del tutto nelle mie corde. Era un mio obiettivo trovare delle storie vere sull'ambiente. Ed ero molto eccitato all'idea che uno dei maggiori bestseller in Cina parlasse di qualcosa di cui nell'Occidente molti sono del tutto inconsapevoli. In Cina c'è un forte movimento che comprende il bisogno della conservazione e della protezione della natura, e della promozione di temi ambientali".
Il regista e il co-sceneggiatore Jean-Jacques Annaud
Sceneggiatura:
Jean-Jacques Annaud, John Collee, Alain Godard e Lu Wei
Soggetto: PRELIMINARIA - Il libro:
Trasposizione del bestseller semiautobiografico Il totem del lupo (edito in Italia da Mondadori), scritto da Lu Jiamin nel 2004 sotto lo pseudonimo di Jiang Rong, tradotto in 30 Paesi e considerato con 20 milioni di copie vendute, il secondo libro più letto in Cina dopo il Libretto rosso di Mao.
Pubblicato nel 2004 in Cina in forma anonima, il romanzo Il totem del lupo è sfuggito alla vigilanza della censura divenendo in breve tempo un fenomeno letterario stupefacente, raccontando in maniera fantasiosa l'esperienza che lo stesso Rong (pseudonimo sotto cui si nasconde un docente universitario) ha vissuto sul finire degli anni Sessanta, all'inizio della Rivoluzione Culturale, quando venne mandato in "rieducazione" in Mongolia salvando così di sua volontà alcuni libri che le guardie rosse avevano cominciato a bruciare. La storia del romanzo è quella di un giovane di città che grazie a un viaggio che si rivela iniziatico e a una particolare amicizia con i lupi scopre i valori della campagna e della comunità nomade, per cui l'inquinamento e i disastri ambientali, piaghe della Cina contemporanea, non esistono nemmeno.
PRELIMINARIA - Curiosità da set:
Nel rispetto delle 56 minoranze etniche presenti in Cina, L'ultimo lupo per i figuranti è ricorso a un cast di attori non professionisti, scelti tra i veri allevatori e pastori della Mongolia, mentre per i personaggi principali ha potuto contare su tre attori professionisti di etnia Han, l'etnia dominante in Cina. Alle riprese del film hanno preso parte oltre 480 tecnici, 200 cavalli, un migliaio di pecore, 25 lupi e cinquanta tra formatori e allenatori, rispettando la volontà dei produttori cinesi di realizzare un'opera spettacolare e in grado di meravigliare.
Girato interamente in 3D (usato per magnificare i paesaggi ancora incontaminati) L'ultimo lupo è stato realizzato nel corso di sette anni.
Effetti Speciali: Christian Rajaud (supervisore effetti visivi)
Makeup: Xiao Jin
Scheda film aggiornata al:
23 Agosto 2015
Sinossi:
IN BREVE:
Protagonista della storia, ambientata negli anni '60, è Chen Zhen (interpretato da Feng Shaofeng), un giovane studente di Pechino, che viene inviato nelle zone interne della Mongolia per insegnare a una tribù nomade di pastori. A contatto con una realtà diversa dalla sua, Chen scopre di esser lui quello che ha molto da imparare sulla comunità , sulla libertà ma specialmente sul lupo, la creatura più riverita della steppa. Sedotto dal legame che i pastori hanno con il lupo e affascinato dall'astuzia e dalla forza dell'animale, Chen un giorno trova un cucciolo e decide di addomesticarlo. Il forte rapporto che si crea tra i due sarà minacciato dalla decisione di un ufficiale del governo di eliminare, a qualunque costo, tutti i lupi della regione.
In 1967, a young Beijing student, Chen Zhen, is sent to live among the nomadic herdsmen of Inner Mongolia. Caught between the advance of civilization from the south and the nomads' traditional enemies - the marauding wolves - to the north; humans and animals, residents and invaders alike, struggle to find their true place in the world.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
IL VERO SELVAGGIO E' L'UOMO, NON IL LUPO. MA QUESTO LO SAPEVAMO GIA'. EPPURE QUESTA 'LEZIONE D'AMORE' IMPARTITA DA JEAN-JACQUES ANNAUD E' UNA DI QUELLE CHE NON SI POSSONO PERDERE: UNA LEZIONE DI VITA NEL RISPETTO DELLE LEGGI DELLA NATURA, CON UN EQUILIBRIO SUO PROPRIO, FATTO DI UNA SPIRITUALITA' CHE NON ESCLUDE IL SACRIFICIO DI VITE. UNA LEZIONE RESA INDIMENTICABILE DA UN INEDITO 'CINEMA DI SGUARDI' CHE RADICANO NEL PROFONDO
Sarebbe troppo facile tacciare L'ultimo lupo di Jean-Jacques Annaud (Il nome della rosa, Sette anni in Tibet, L'orso, Due fratelli), un 'film d'avventura'. Qui non ci troviamo nei paraggi del National Geographic. Anche se Annaud sapeva bene fin dall'inizio di voler raggiungere il più ampio pubblico possibile, vale a dire le famiglie. Eppure - facendo evidentemente di questo il perno della sua implicita 'campagna' a favore di questa specie animale - Annaud non rinuncia a mostrarci l'intero 'catalogo' umano di persecuzioni
cavalli, celebrato ad arte da Annaud come una terribile installazione sculturea cristallizzata. Forse l'unica nota da 'National Geographic' che si possa obiettare alla regia, per lo più mai tanto leziosa, nè sentimentale.
L'ultimo lupo è difatti piuttosto una storia d'amore per la natura e per questa specie animale congiunta ad una lezione di rispetto e di fede spirituale di marca 'animista', a vantaggio di quell'equilibrio ambientale, di cui, dal basso del suo lato più selvaggio e crudele, l'uomo sembra essersi scordato, per quanto perfettamente a conoscenza. Ed è proprio questo a renderlo ancor più colpevole. La sequenza della caccia al capobranco dei lupi tradisce altresì il compromesso evidentemente siglato da Annaud con le autorità locali: ne fa la spia quella sorta di vago riscatto morale concessa in extremis all'ufficiale del governo cinese: quel che si dice, non propriamente uno stinco di santo. Come spiegare altrimenti l'affidamento del progetto filmico proprio a
Jean-Jacques Annaud, quando uno dei suoi più accreditati successi, Sette anni in Tibet, è un film ancora proibito in Cina, e quando lui stesso era stato bandito dall'entrare nel Paese!? Un problema a quanto pare superato, ma quel che è certo è che per ogni cosa c'è un prezzo da pagare. Tant'è! Ed è poi lo stesso Annaud in alcune sue interviste - da vedere se per pura convinzione o per politica di reciproca convenienza - a spezzare una lancia in favore della Cina di oggi. Il progetto era del resto nelle sue corde: "era un mio obiettivo trovare delle storie vere sull'ambiente. Ed ero molto eccitato all'idea che uno dei maggiori bestseller in Cina parlasse di qualcosa di cui nell'Occidente molti sono del tutto inconsapevoli. In Cina c'è un forte movimento che comprende il bisogno della conservazione e della protezione della natura, e della promozione di temi ambientali''. E
il best seller in questione sui cui Annaud ha architettato la sua - devo dire alquanto fedele - trasposizione, è il romanzo semiautobiografico Il totem del lupo (edito in Italia da Mondadori), scritto da Lu Jiamin nel 2004 sotto lo pseudonimo di Jiang Rong. Come sappiamo, best seller tradotto in 30 Paesi, considerato, con 20 milioni di copie vendute, il secondo libro più letto in Cina dopo il Libretto rosso di Mao. Autore, Jiang Rong, segnato profondamente da questa sua esperienza diretta sul campo, che ha preso l'impegno di raccontarci con tutto l'appassionato fervore di una missione di vita. E devo dire che il libro ha un cuore e un'anima davvero grandi che il film di Annaud non tradisce affatto.
Libro e film raccontano del giovane studente di Pechino Chen Zen (interpretato egregiamente da Shaofeng Feng), spedito in Mongolia nel 1967 per partecipare alla grande opera di civilizzazione voluta dalle
autorità cinesi, con l'intento di rendere sedentario questo popolo nomade. A contatto con quella gente, il giovane rimane affascinato dalla saggezza degli anziani, di Bilig in particolare (Basen Zhabu) - la sua filosofia è la seconda anima del film e la voce della coscienza che parla a tutti noi - cui si rivolgerà come a un 'padre', e scopre di esser lui - e ancora una volta noi con lui - quello che ha molto da imparare sulla comunità , sulla libertà ma specialmente sul lupo, la creatura più riverita della steppa. Sedotto dal legame che i pastori hanno con il lupo e affascinato dall'astuzia e dalla forza dell'animale, Chen un giorno trova un cucciolo e decide di addomesticarlo. Il forte rapporto che si crea tra i due sarà minacciato dalla decisione di un ufficiale del governo di eliminare, a qualunque costo, tutti i lupi della regione.
A qualcuno -
a me ad esempio è successo - potrà anche venire in mente il lupo soprannominato 'quattro calzini' da Kevin Costner nel suo capolavoro Balla coi lupi. Del resto, persino la lupa nel film di Annaud ha connotati simili, così come evidenzia la stessa sceneggiatura. Tutta un'altra cosa d'accordo! 'Quattro calzini' era un lupo già adulto, eppure, alla lunga, non aveva disdegnato un contatto con l'uomo di cui aveva imparato a fidarsi, sia pure con la massima discrezione. Mai cosa fu più insensata, non tanto per l'unico uomo armato delle più oneste, sincere intenzioni nei suoi confronti, quanto per i soliti 'sterminatori' incalliti, scriteriati e con l'invasione targata 'tabula rasa' nel sangue: poco importa se si tratta di uomini di altra etnia come gli indiani o di animali il cui nome dice loro già abbastanza per giustificare e autorizzare l'accoppamento immediato! Beh, sia pure in tutt'altro contesto, l'autorità totalitarista ha un
altro nome ed un'altra razza ne L'ultimo lupo (Wolf Totem) di Jean-Jacques Annaud, ma intenzioni e metodi sembrano fratelli gemelli del Balla coi lupi di e con Kevin Costner. Anche Jean-Jacques Annaud muove dall'imprevisto incontro di culture diverse e ne ritrae l'altrettanto imprevista reciproca lezione e benefica contaminazione, almeno finchè non sopraggiunge lo sterminatore di turno.
Oltre quattro anni di lavoro, con riprese nella Mongolia Interna e l'addestramento per il progetto di alcuni cuccioli di lupo provenienti dagli zoo cinesi. 480 tecnici, 200 cavalli, quasi un milione di pecore, 25 lupi, e una cinquantina di persone votate interamente all'addestramento e cura degli animali. Non è certo roba da poco questa e dà la misura dell'enorme e audace portata del progetto.
Ma la cosa veramente affascinante de L'ultimo lupo di Annaud non sono i numeri nè lo spettacolo delle riprese paesaggistiche a lungo campo. Il vero spettacolo, da brivido, sono tutti
quei primissimi piani, quell'incrocio di sguardi, nelle più svariate circostanze, umori e sensazioni, che fanno de L'ultimo lupo di Annaud un film sull'anima del lupo, sulla 'dignità ' sua propria, palpitante nel suo stesso ambiente naturale. Il vero miracolo è stato l'addestramento che deve esserci stato dietro tutte quelle scene, in cui i lupi "recitano" letteralmente (l'addestratore specializzato Andrew Simson, cui andrebbe consegnato l'Oscar d'ufficio, si è trasferito in Cina per tre anni al servizio della produzione di questo film). In altre parole, se pur scene come l'inseguimento dei cavalli da parte del branco di lupi, ripreso con droni e quad-bike nel mezzo di una tempesta di neve, potrà risultare emotivamente forte - e non vi è dubbio che lo sia, e questa non è che una delle varie scene spettacolari del film - ad entrare negli annali del cinema saranno d'altra parte quei bagliori luministici, quegli occhi, indimenticabili, di quelli
che lasciano il segno, e che ti porti dentro come il bene più prezioso, reliquia di un'interiorità finora misconosciuta e finalmente ritrovata. In buona sostanza, la vera 'prima donna' de L'ultimo lupo di Annaud è proprio l'intelligenza e la sete di libertà di questo meraviglioso animale, con cui ci sentiremo miracolosamente in sintonia. E solo se l'uomo non ci metterà più mano, rapinando senza criterio e moderazione dalla sua 'dispensa' naturale per la sopravvivenza, se solo l'uomo si deciderà a far leva con quel che gli resta in dignità e coraggio, evitando così di massacrare i suoi cuccioli, di invadere territori vergini per aver abusato inconsultamente di altre terre - e potremmo continuare a lungo la recita dell'infinita litanìa degli abusi umani sull'ambiente, con la sua flora e la sua fauna - forse allora persino il lupo potrà esser visto sotto un'altra luce.
Il film, come ricordato sugli titoli di coda,
è sostenuto dal WWF e dalla sua campagna 'Adotta un lupo', volta a diffondere una corretta conoscenza del lupo in Italia e a tentare di salvaguardarlo come specie, visto che - come si legge all'indirizzo wwf.it/lupo - "oggi muoiono più lupi che in passato: ne vengono uccisi oltre il 20% ogni anno".
Altre voci dal set:
ANDREW SIMPSON (addestratore di lupi):
"E’ la specie più difficile da addestrare. I lupi sono molto intelligenti, imparano in fretta ma sono anche molto prudenti e molto attenti a quello che accade intorno a loro. È grazie a queste caratteristiche che riescono a sopravvivere nella natura selvaggia. Se non capiscono bene, il loro primo istinto è quello di andare via. È uno dei motivi per cui li apprezzo molto… Non si trattava solo di far capire allo spettatore la durezza della vita dei lupi nelle steppe, ma che dovevano riuscire a entrare nella loro testa, dovevano sentire le loro emozioni e percepire la loro intelligenza… Per la volta un film di finzione si proponeva di mettere in scena questi animali così come sono veramente in natura... Jean-Jacques ha messo a punto una tecnica molto particolare per gli animali. Lavora con loro come farebbe con dei bambini. Stilisticamente e narrativamente la tecnica che utilizza, e che ha messo in pratica con 'L’Orso', permette di offrire agli animali la comprensione delle scene che stanno girando. È anche capace di aspettare il momento in cui gli animali sono in grado di girare la scena nella loro testa. Quando scappano, hanno davvero paura di qualcosa, la loro gestualità è veramente quella di un animale che scappa impaurito, se ringhiano vuol dire che sono davvero arrabbiati... Sapevo che le difficoltà sarebbero venute fuori al momento delle riprese, per riuscire nel mio intento era
indispensabile socializzare e crescere i cuccioli di lupo dal momento in cui aprivano gli occhi la prima volta... Tutti i giorni vissuti in Cina li ho passati con i lupi. Bisogna passare molto tempo con loro. Ai miei occhi era l'unico modo per creare un legame affettivo solido e conquistare la loro fiducia. Bisogna crescerli prima di addestrarli. Se non s'impiega del tempo ad instaurare un rapporto affettivo e a prendersi cura di un lupo, non si otterrà quella qualità recitativa indispensabile di fronte alla macchina da presa. Non si potrà mai controllarli e, per controllo, intendo un controllo fondato su una relazione profonda e non sulla paura o sulla minaccia. Trattate bene i lupi e in cambio vi renderanno fieri nel momento in cui dovranno dare il meglio di loro di fronte alla telecamera. Senza l'attenzione costante che ho dato loro in questi anni, sono sicuro che non sarebbero mai stati in grado di compiere le prodezze che hanno fatto nel film. Ma questa è una storia che pochissimi conosceranno".
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Notorious Pictures e Laura Poleggi (QuattroZeroQuattro)