SUITE FRANCESE: IL GRANDE AFFRESCO LETTERARIO AMBIENTATO NELLA FRANCIA OCCUPATA DAI NAZISTI DIVENTA UN FILM CON KRISTIN SCOTT THOMAS, MICHELLE WILLIAMS E MATTHIAS SCHOENAERTS
THE BEST OF 'CINEMA SOTTO LE STELLE' (Cinema all'aperto - Estate 2015) - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by GUY LODGE (www.variety.com) - Dal 12 MARZO
Casting: Daniel Hubbard, Benoit Luporsi e Sebastian Moradiellos
Scheda film aggiornata al:
23 Agosto 2015
Sinossi:
IN BREVE:
E' il racconto dell’amore bruciante di un uomo e una donna travolti dalla Storia. Ambientato in Francia nel 1940, il film narra della bellissima Lucile Angellier (Michelle Williams) che nell'attesa di ricevere notizie del marito prigioniero di guerra, vive un'esistenza soffocante insieme alla suocera, donna dispotica e meschina (Kristin Scott Thomas). La vita di Lucile viene stravolta quando i parigini in fuga si rifugiano nella cittadina dove vive e la città viene invasa dai soldati tedeschi che occupano le loro case. Inizialmente Lucile ignora la presenza di Bruno (Matthias Schoenaerts) un raffinato ufficiale tedesco che è stato dislocato nella loro abitazione. Ma dopo l'iniziale indifferenza, Lucile "si risveglia" e inizia a esplorare sentimenti sepolti che la porteranno inevitabilmente verso Bruno...
IN DETTAGLIO:
Il film inizia durante la caduta della Francia sotto la Germania nel giugno del 1940 con l'esodo da Parigi. La sconcertata popolazione della città di Bussy si sta preparando all’arrivo di un battaglione tedesco che vivrà nelle loro case. Lucile Angellier (Michelle Williams), lei stessa una rifugiata Parigina, vive con l’austera suocera, Madame Angellier (Kristin Scott Thomas), mentre il marito è stato fatto prigioniero.
Il giovane ufficiale tedesco, Bruno von Falk (Matthias Schoenaerts) viene alloggiato presso di loro. Lucile gradualmente 'si risveglia' e inizia a esplorare sentimenti che la turbano e che aveva sepolto durante il suo infelice matrimonio. Inizia ad innamorarsi di Bruno e quindi a lottare con i sentimenti verso il suo paese per sentirsi infine disillusa.
Sullo sfondo del villaggio si osserva come ogni personaggio vive e affronta l'occupazione tedesca. È una reazione che viene determinata dalla classe di appartenenza. Il Visconte (Lambert Wilson) e la Viscontessa Montmort (Harriet Walter) fanno affari con i tedeschi in cambio di un trattamento di favore, mentre Benoit (Sam Riley), un contadino che ha affittato la loro terra, reagisce diventando membro della Resistenza.
Il modo in cui gli abitanti del villaggio reagiscono è determinato anche dal sesso; i comportamenti della moglie di Benoit Madeleine (Ruth Wilson), di Celine (Margot Robbie) e di Lucile nei confronti dei soldati sono molto diversi...
SYNOPSIS:
During the early years of German occupation of France, romance blooms between Lucile Angellier, a French villager and Bruno von Falk, a German soldier.
France, 1940. In the first days of occupation, beautiful Lucile Angellier is trapped in a stifled existence with her controlling mother-in-law as they both await news of her husband: a prisoner of war. Parisian refugees start to pour into their small town, soon followed by a regiment of German soldiers who take up residence in the villagers' own homes. Lucile initially tries to ignore Bruno von Falk, the handsome and refined German officer staying with them. But soon, a powerful love draws them together and leads them into the tragedy of war.
Potremmo stilare una litanìa di pellicole su questa Memoria, ma ci basta citare due esempi iconici e bellissimi, come lo Schlinder's List di Steven Speilberg e Il pianista di Roman Polanski. Due esempi importanti da molti punti di
Beh, con Suite Francese il regista francese Saul Dibb (di formazione prevalentemente documentarista prima di approdare a La Duchessa) ha intanto portato all'attenzione del grande pubblico un'altra testimonianza, unica e universale, come sempre in questi casi, che mentre celebra uno struggente
film prende avvio difatti durante la caduta della Francia sotto la Germania nel giugno del 1940 con l'esodo da Parigi. La sconcertata popolazione della città di Bussy si sta preparando all’arrivo di un battaglione tedesco che vivrà nelle loro case.
Un'ottica profondamente ricca e stratificata di riflessioni che intessono un inestricabile intreccio, quasi amletico, tra la ristretta sfera personale dell'individuo a quella del Paese, assediato dai tedeschi cui spetta di diritto l'ospitalità nelle case di un paesello di campagna che fino a quel momento aveva percepito la guerra sull'onda della notizia e comunque non sulla nuda pelle. La preliminare sequenza del primo bombardamento aereo in piena campagna dà un'idea piuttosto concreta di come invece stanno andando le cose. Ed è questo il momento in cui ognuno dei cittadini francesi recita la propria parte - quasi dovesse camminare sulle uova o su un lago ghiacciato malfermo - per poter sopravvivere in
qualche modo, terrorizzati dall'umore di glaciale gentilezza e cortesia, quando non irriverentemente insolente, avviato dai tedeschi al loro arrivo in Paese, facilmente mutevole nel più truce dei regimi militari, con gli effetti collaterali che ben sappiamo, in caso venisse a mancare in qualche modo quell'umiliante accondiscendenza obbligata da parte degli ospitanti.
Attraverso la vicenda di Lucile/Williams - che vive con l’austera suocera, Madame Angellier (Kristin Scott Thomas), mentre il marito, sposato quasi sulla carta per così dire, è stato fatto prigioniero, quando il giovane ufficiale tedesco, Bruno von Falk (Matthias Schoenaerts) viene alloggiato presso di loro - in Suite francese si inquadrano aspetti della guerra meno plateali, indubbiamente più sotterranei, ma non per questo meno insidiosi, pericolosi, persino letali: dalle
numerose denunce dei cittadini scritte ai danni di altri concittadini e consegnate ai tedeschi, al fenomeno di collaborazionismo dilagante fino alle relazioni segrete e clandestine da cui pare - statistiche alla mano - alla fine della guerra siano nati 100.000 bambini.
Il modo in cui gli abitanti del villaggio vivono, affrontano e reagiscono all'occupazione tedesca, è la cornice più sconcertante del quadro stesso. Ed ha molto a che fare sia con la classe di appartenenza sociale che con il sesso: vedi il visconte (Lambert Wilson), sindaco del Paese e la consorte, la viscontessa Montmort (Harriet Walter) che con i tedeschi fanno affari in cambio di trattamenti di favore a vario titolo, mentre la madame Angellier di Kristin Scott Thamas - straordinaria come al solito nel suo ritratto acido, dispotico e meschino che oscura un'anima soffocata di natura ben diversa - li vede come il fumo negli occhi, il nemico invasore occupante
Ma l'aspetto più struggente e bello in tutto questo è come di nuovo l'arte abbia saputo porsi al di sopra delle parti ed operare una sorta di miracolo
per un temporaneo spiraglio, per un soffio di sentimento autentico semplicemente tra esseri umani, pure in mezzo ad una matassa di contraddizioni, i cui nodi d'altra parte non potranno che allentare la presa, man mano che questa 'lingua universale' avvicinerà le persone più improbabili nel luogo e nel momento più sbagliati: Matthias Schoenaerts (Un sapore di ruggine e ossa, Chi è senza colpa) ha reso straordinariamente poliedriche le contraddizioni che abitano nell'ufficiale tedesco Bruno, un raffinato compositore - un artista più che soldato - prima che la guerra lo portasse in tutt'altra direzione, convinto di seguire ideali che ora vede vacillare a vista d'occhio. Così questa volta il pianista non è un ebreo (come nel film di Polanski) ma è un ufficiale tedesco nazista. E la musica, quel brano Dolce (questo il titolo originale) composto nella straniera 'suite francese', sarà il galeotto cupido che avvierà una trasformazione non di poco
conto, e non solo a livello amoroso, sia in Lucile che in Bruno. Anche se, come potete ben immaginare, le storie di questo genere, in tali frangenti non possono certo avere un lieto fine. Del resto Dibb si è già preso una bella responsabilità nel voler dotare di una conclusione Memorie che la Storia ha realmente e drammaticamente concluso, senza che la protagonista abbia avuto il tempo di tradurle in parole.
La parola, il linguaggio. Quanto sono importanti? Per le leggi del cuore supplisce l'arte, per un'opera letteraria o cinematografica è fondamentale poter raggiungere il più vasto spettro di pubblico possibile. E, discutibile quanto si vuole, per Suite francese è valso l'approccio linguistico già privilegiato da Stephen Daldry per il suo The Reader, in cui i personaggi tedeschi parlano inglese ma con accento tedesco. Di fatto, per Suite francese è stato deciso 'di far parlare personaggi francesi in inglese senza
Secondo commento critico (a cura di GUY LODGE, www.variety.com)
IFFY SCRIPTING DECISIONS CAN'T THWART THE ROMANTIC ALLURE OF THIS HANDSOMELY CRAFTED, SINCERELY PERFORMED WARTIME WEEPER.
The title is the most authentically French thing about “Suite francaise,†a fusty but enjoyably old-fashioned WWII soap that, notwithstanding its Gallic locale, is otherwise characterized by a distinctly British brand of plumminess. Based on the bestselling unfinished novel by Irene Nemirovsky, this lightly perfumed tale of the tentative romance between a married Frenchwoman and an urbane Nazi soldier during the 1940 German occupation covers no new ground historically or stylistically, and is hampered by gauche narration that undermines the expressive delicacy of Michelle Williams’s headlining performance. Still, attractive mounting and casting — with the inspired choice of Matthias Schoenaerts as Williams’s co-lead paying off handsomely — could see this Weinstein Co. property make moderately “Suite†music in limited release.
In Blighty, where Entertainment One releases the pic on March 13, “Suite francaise†is likely
to entice the older audience that failed to turn out for the comparable but superior wartime weepie “Testament of Youth†earlier this year. That’s in part thanks to name actors — particularly the redoubtable Kristin Scott Thomas, a consistent arthouse draw in her homeland — and the relatively recent popularity of Nemirovsky’s work, the English translation of which hit shelves in 2006. The book, of course, is something of a story in itself. Written during the war prior to the author’s death in Auschwitz, only to be discovered by her daughter 65 years later, it’s a fictional narrative — planned as a five-part literary suite, though only two were completed — that nonetheless has a diary-like ring of in-the-moment authenticity.
Adapting this unrevised, imperfectly shaped text was always going to be a challenge, so director Saul Dibb (helming his first feature since 2008’s similarly lush Keira Knightley starrer “The Duchessâ€) and
co-writer Matt Charman have sensibly concentrated their attention on the second of the book’s self-contained sections, following its restrained but satisfyingly complete romantic arc. Other scripting decisions, however, are less shrewd: A rushed, logic-defying amendment to Nemirovsky’s bittersweet climax amps up the action in a manner that implies a degree of studio focus-grouping. More problematic still is the intrusive, wholly dispensable first-person voiceover by Williams’s protagonist, which succeeds only in articulating emotions the actress is perfectly capable of conveying in non-verbal fashion. Like a longer “Brief Encounter,†the love affair under examination is powerful for its necessarily tacit exchanges of feeling. The same can’t be said for the film: “Hardly a word of our true feelings had been spoken,†intones Williams with amusingly ironic redundancy.
Clumsy storytelling decisions, however, can’t entirely get in the way of a good story, and it’s when “Suite francaise†focuses on the simplest human dynamics of
its yarn that it forges a sincere emotional connection. A hurriedly edited introduction barely sketches in the Allied evacuation of Dunkirk before skipping — with an odd “one week later†title card — to the sleepy central French village of Bussy, where the locals await the German intruders with grim-faced stoicism. “If you want to see what people are made of, you start a war,†tuts haughty, upper-class Madame Angellier (Scott Thomas, elegantly domineering as ever), as she waits out the occupation with her soft-spoken daughter-in-law, Lucile (Williams). Both women are in a state of limbo pending the return of Lucile’s husband from battle, though it emerges that their marriage is one chiefly of convenience.
Starved for gentle human contact, Lucile is silently less aggrieved than Madame when German soldiers are allocated as lodgers to all suitable households. It is her further good fortune that their uninvited guest, Lt. Bruno van
Falk (Schoenaerts), happens to be not just the nicest Nazi in town, but perhaps in screen history. A courteous, compassionate gentleman with profound reservations about the political regime he’s obliged to serve and a neat sideline in piano composition, his chemistry with his lonely hostess is awkwardly immediate. As they shyly bond over shared interests and the eponymous suite — its lilting, looping melody provided by Alexandre Desplat, no less — that he’s in the process of creating, outside parties grow suspicious of their involvement. Meanwhile, in a subplot that gradually braids itself with the core relationship, a destitute farming couple (played by Sam Riley and an excellent Ruth Wilson) are violently harrassed by their own Nazi boarder, and turn to Lucile and Bruno as intermediaries.
The ensuing blend of romance and suspense is easy to imagine as a studio film from the wartime era, and Dibb is smart enough to
play on that familiar, faintly mildewed charm. That extends to the ungainly uncertainty (typical for this genre) of how to vocally perform English-language, Continental-set drama: The actors playing French natives largely opt for cut-glass English tones, while mildly Germanic accents prevail on the other side. The combined effect is akin to a particularly straight-faced episode of the beloved BBC sitcom “‘Allo! ‘Allo!,†though most viewers’ ears will adjust to the inconsistency soon enough.
Whatever its occasional formal missteps, then, “Suite francaise†is bracingly unafraid of its own sentimentality. The leads play things ingenuously straight, summoning genuine heat in the characters’ fleeting moments of physical interlocking. Williams, among the most intelligently intuitive actresses of her generation, imbues Lucile with a fragile, thoughtful reserve that never comes off as wan. She’s ideally matched by rising Belgian star Schoenaerts, who continues to demonstrate his versatility with each of his English-language assignments: He’s as dashingly
refined here as he was viscerally brooding in his breakout roles in “Rust and Bone†and “Bullhead.†Channeling something of the young Fredric March in his graceful demeanor and delivery, he maps out Bruno’s internal conflicts with poignant economy.
Furthermore, both stars could hardly be more exquisitely presented, thanks to first-rate contributions from costume designer Michael O’Connor (a master of character-serving fabric selection, even when toning down the lavish spectacle of his Oscar-winning work on “The Duchessâ€) and, particularly, hair and makeup designer Jenny Shircore. Technically, the pic is a sharp-looking affair all around, even if the lacquered lensing by Eduard Grau (“A Single Manâ€) takes few chances beyond a bit of handheld agitation during high-tension sequences. And in a story where music serves an integral narrative function, Rael Jones’s pretty, heavily worked score can justify its degree of ornamentation — even if it’s Desplat’s aforementioned contribution that auds will remember.
Altre voci dal set:
Il compositore delle musiche RAEL JONES:
"Il piano è importante per la storia d'amore; non solo vediamo Lucile e Bruno suonarlo, ma è anche il mezzo attraverso cui lei si innamora di lui, e così nella colonna sonora diventa 'il loro strumento', che interagisce, a volte con gli archi... La musica tedesca è molto più strumentalmente brutale; abbiamo utilizzato suoni del trash metal e rumori, ronzii per creare un'analogia sonora della guerra. Ho cercato di imitare musicalmente il suono di un esercito, dei carri armati e dei cannoni, imitando il ritmo e il suono della marcia nella musica; inoltre un brano è stato fatto con la chitarra elettrica per sottolineare il senso della imminente violenza"
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano VIDEA CDE e Samanta Dalla Longa (QuattroZeroQuattro)