MAPS TO THE STARS: DAVID CRONENBERG SI LANCIA NELLA SATIRA SU HOLLYWOOD. A DARGLI MAN FORTE ANCORA ROBERT PATTINSON (COSMOPOLIS) CON JOHN CUSACK, JULIANNE MOORE E MIA WASIKOWSKA PER UN ACUTO E DIVERTENTE SGUARDO SU UN MONDO VUOTO E CORROTTO, CONGIUNTO AD UNâOSSESSIVA STORIA DI FANTASMI
Seconde visioni - Cinema sotto le stelle: 'Summer 2014' - PALMA D'ORO alla 'MIGLIOR ATTRICE' (JULIANNE MOORE) al 67. Festival del Cinema di Cannes (14-25 Maggio 2014) - IN CONCORSO - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com) - Dal 21 MAGGIO
"Ă una storia che parla del presente e che attacca ferocemente il momento in cui stiamo vivendo, culturalmente e soprattutto tecnologicamente... Certo una famiglia di Hollywood che ha ottenuto celebritĂ e successo agli occhi del pubblico, non potrĂ mai essere una normale famiglia... Lâaspetto per me piĂš interessante della sceneggiatura di Bruce (Wagner, lo sceneggiatore) è la tensione che riesce a creare tra satira e un senso di realtĂ molto intenso..."
Il regista David Cronenberg
Uno sguardo sul mondo di Hollywood - non a caso il film è ambientato proprio a Los Angeles - e su cosa il mondo del cinema comunica della cultura occidentale.
I Weiss sono una tipica famiglia hollywoodiana che nasconde molti segreti, tra soldi, sogni, fama, invidie, angoscia, desiderio e⌠implacabili fantasmi.
La famiglia Weiss è formata da Sanford (John Cusack), un guru dei manuali di auto-aiuto, sua moglie Cristina (Olivia Williams), che segue la carriera del figlio tredicenne Benjie, una scontrosa baby star, e sua sorella, la tormentata Agatha Weiss (Mia Wasikowska), tornata in cittĂ allâinsaputa di tutti. Rilasciata da un reparto psichiatrico, ha una misteriosa cicatrice sul volto. Agatha stringe amicizia con un autista di limousine aspirante attore (Robert Pattinson) e diventa assistente personale dellâattrice Havana Segrand (Julianne Moore) che è perseguitata dal fantasma della madre, celebre attrice.
SYNOPSIS:
Complex look at Hollywood and what it reveals about Western culture.
The Weiss family is the archetypical Hollywood dynasty: father Stafford is an analyst and coach, who has made a fortune with his self-help manuals; mother Cristina mostly looks after the career of their son Benjie, 13, a child star. One of Stafford's clients, Havana, is an actress who dreams of shooting a remake of the movie that made her mother, Clarice, a star in the 60s. Clarice is dead now and visions of her come to haunt Havana at night... Adding to the toxic mix, Benjie has just come off a rehab program he joined when he was 9 and his sister, Agatha, has recently been released from a sanatorium where she was treated for criminal pyromania and befriended a limo driver Jerome who is also an aspiring actor.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Chi conosce solo un pò David Cronenberg sa che qualunque possa essere il suo soggetto, e normalmente non è mai una storiella da fiori e cioccolatini, se lo aspetta. Voglio dire: si aspetta che sbuchi fuori, per esprimersi senza mezzi termini, il lato piÚ oscuro di personaggi e situazioni. A Cronenberg è sempre piaciuto 'il pasto nudo' e crudo, ed ha sempre amato la competizione con l'estremo. Si, il lato estremo lo ha sempre attratto a calamita, e riesce sempre a presentarlo su un piatto di portata cui non fa mai mancare, fosse solo anche per un'impepata veloce, quella spolverata di 'truculento' che dice quanto basta, su una certa cosa o una certa persona, senza mezzi termini, appunto. Un 'truculento' che mantiene bene dunque le distanze dall'autoreferenzialità , ma che si pone piuttosto al servizio di presentare un qualsivoglia dramma dall'interno del suo buco nero, con tutta l'autentica portata della sua
brutta faccia, senza neppure un tocco di colore, o un velo di cipria. Ed è questo un approccio stilistico che vale per il lato fisico, tanto quanto per quello psicologico, là dove l'occhio cronenberghiano arriva con la sua lente d'ingrandimento incorporata, affinchÊ possa andare a scoprire agevolmente il tipo di pelle, in modo da osservarne la grana, in cui si distinguono quei pori dilatati, aperti sull'abisso.
E dire che questa volta con Maps to the Stars, possiamo dirci fortunati: niente gole tagliate, nè agguati all'ultimo sangue, nè storie di violenza. Almeno non subito, almeno non in primo piano, finchè lo sconcerto non inizia ad occhieggiare dal retrobottega di una storia apparentemente pressochÊ innocua, a tratti camuffata persino da commedia: una storia che si denuda piano piano come in uno streeptease, e che, sinuosa e melliflua, avanza strisciando come un serpente sulla discrezione, inzuppata nella piÚ patetica delle malattie che la
fa da padrone in quel di Hollywood: la supremazia del protagonismo a tutti i costi, la caccia al ruolo da soffiare al collega facendo finta del contrario, l'uso di droghe per alimentare un talento costruito sulla fama che non conosce tramonto come unico prioritario obiettivo di vita, e cosÏ via. Ma la cosa piÚ sconcertante - potrà sembrare un aggettivo abusato in questa recensione ma è davvero quello che continua a saltarmi in testa come quello piÚ calzante - è quando tutto questo, ancor prima che nella sfera delle star adulte, prende vita, corpo e anima, nella sfera infantile-adolescenziale: il personaggio del tredicenne attore Benjie Weiss (Evan Bird) riesce a far rabbrividire con il conforto di una sceneggiatura che sa tornirlo in una scultura estremamente verosimile, plasmata sull'infanzia negata o gioventÚ bruciata che dir si voglia.
Ma a Cronenberg tutto questo non poteva bastare. E sappiamo bene che appena svoltato l'angolo,
il dramma della fauna hollywoodiana da set cinematografico - attori, registi produttori, con annessi e connessi, come il sedicente imbonitore analista-terapista para-shiatsu, declinato da John Cusack nel Dr. Stafford Weiss - sta per aprirsi ad un dramma ancora piĂš grande, potenzialmente in grado di lievitare fino ad inghiottirsi il tutto. Nel 'disastro ad Hollywood' di Cronenberg non si fa in tempo a sorridere per la grettezza kitsch di una star o per le bieche, labirintiche dinamiche di produzione cinematografica che ci si ritrova ben presto a cambiare radicalmente registro, passando persino per le vie traverse di fantasmi del passato, talmente invasivi ed ingombranti, che la mente e l'inconscio di alcuni personaggi proiettano come realtĂ sul grande schermo. Alla fine non saremo piĂš stupiti di ritrovarci sull'orlo dell'abisso, scavato strada facendo per far largo al passaggio di un dramma familiare davvero orripilante e non certo perchĂŠ inciampato sul viale della fama
in quel di Hollywood.
Ma ad imporsi all'attenzione quale vero e proprio conglomerato di ossessioni - dominate dal fantasma della madre, attrice di fama ben maggiore della sua deceduta in un incendio, che si materializza nella sua mente e sul grande schermo con il tocco della perfida grazia qui vestita discretamente da una Sarah Gadon in odore di feticcio cronenberghiano (A Dangerous Method e Cosmopolis hanno preceduto l'attuale Maps to the Stars) - è l'Havana Segrand da cui traspare una monumentale Julianne Moore, qui letteralmente un faro dominante, capace di illuminare l'intera pellicola in un cangiante caleidoscopio di nuance, all'insegna di una libertà assolutamente naturale, senza freni inibitori, nÊ amor proprio nel senso di una vera dignità umana: vedi la scena del bagno di fronte alla neo assistente personale Agatha Weiss (Mia Wasikowska) o quella del sesso cercato, con l'attorucolo Jerome Fontana, ridotto ad arrotondare facendo l'autista di limousine per star
e personaggi pubblici di rilievo, personaggio con cui Robert Pattinson dà peraltro l'impressione di citare se stesso dal precedente, cronenberghiano, Cosmopolis. Ma si potrebbe dire che questi due esempi sfiorano appena il fondo che invece tocca il suo personaggio in svariati momenti. Dal canto suo, man mano che la storia si dipana e il suo sconcertante personaggio esce dall'ombra, Mia Wasikowska sembra essere nata per interpretare sul grande schermo personaggi in cui riluce il lato piÚ oscuro dell'umana natura (Stoker docet). Diciamo che il suo alter ego da psicopatica assassina in celluloide potrebbe avere un futuro decisamente promettente, ma è anche vero che le sue scelte attoriali piÚ recenti la stanno forgiando una tra le piÚ interessanti giovani interpreti a tutto campo.
Una cosa è certa: dopo aver sentito parlare gli adolescenti che popolano la sconcertante - lasciate che possa ripeterlo all'infinito - 'Mappa delle star' disegnata da David Cronenberg, averli
visti all'opera, fluttuanti tra realtĂ costruita a propria immagine e somiglianza, finzione e allucinatorie visioni in grado di cancellare ogni traccia di quel confine che serve a mantenere il senno entro gli argini di contenimento, al riparo dal fiume in piena della follia omicida, viene da condividere l'unica opinione espressa in un barlume di luciditĂ e con cognizione di causa: "Mio Dio quanto puzza l'umanitĂ !".
Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)
DAVID CRONENBERG PAINTS HOLLYWOOD AS A BLACK HOLE IN THIS TOXIC SHOWBIZ SATIRE.
At a certain point in their careers, nearly all aspiring actors in Hollywood are âwaitersâ: They wait tables, they wait for callbacks, they wait for that moment when they become famous enough that America knows them on a first-name basis, a la Arnold or Miley. Onetime wannabe Bruce Wagner did his time in that waiting zone, writing the script for âMaps to the Starsâ while working as a limousine driver for the Beverly Hills Hotel. By the time his cynical satire finally made it to the big screen nearly two decades later â in the hands of never-boring director David Cronenberg, no less â its time had passed, the intended toxicity diluted by the fact nearly everyone involved was now âin.â
Somehow, itâs more interesting to watch dreamers struggling to play stars (check out Pia Zadora in âThe
Lonely Ladyâ for a real Tinseltown takedown) than it is for Oscar nominees to parody the desperate, which is pretty much what Julianne Moore is doing in a fearless performance far more gonzo than the out-of-touch satire that contains it. Like Cronenbergâs âCosmopolisâ before it, the film opens in France the day of its Cannes Film Festival premiere and will likely fare better there than in the States, where eOne is also releasing.
Surprisingly, the Canadian helmer has waited until this project to shoot in Los Angeles (or the U.S. at all, for that matter), and though the film benefits from such iconic sights as the Walk of Fame, the Hollywood sign and palm trees aplenty, it doesnât quite capture the feel of the city. Wagnerâs insiders talk B.O. grosses and backend points, name-drop celebrities and do their best acting when pretending to like the idiot on the other end of
any conversation, but they do so in slow-motion. Thereâs too much air in the room. After whiplash satires such as âIn the Loopâ and âExtras,â where half the jokes blaze by on first viewing, âMaps to the Starsâ fails to reflect the pace at which the town operates.
Unlike Wagnerâs sprawlingly ambitious âWild Palmsâ (a 1993 miniseries that found his sensibility better paired with that of director Oliver Stone), âMapsâ struggles to mix its various genres: Part showbiz sendup, part ghost story, part dysfunctional-family drama, the movie instead comes across as so much jaded mumbo-jumbo. In addition to its various pseudo-astrological connotations, the picâs play-on-words title promises tantalizing access to the rich-and-famous playpens charted on Hollywood star maps. But the two ultra-modern homes where most of the action takes place feel as cold and far removed as a Toronto soundstage.
If Hollywood can claim â as MGMâs publicity department once boasted â
âmore stars than there are in heaven,â then the tight cluster depicted here form a relatively minor constellation. Havana Segrand (Moore) descends from Hollywood royalty, the scion of classic actress Clarice Taggart, who died in a fire, yet who still turns up now and then in ghostly form (Sarah Gadon) to derail Havanaâs progress. Lately, the anxious C-lister has been fixated on landing the lead role in an indie remake of her momâs best-loved picture.
But Havana isnât the only one reciting that filmâs famous monologue. Teenage burn victim Agatha Weiss (Mia Wasikowska) has just returned to L.A. from Jupiter, Fla., and she just might be a reincarnated version of Taggartâ or, as it turns out, the schizophrenic product of an extremely incestuous showbiz family. Agathaâs younger brother, Benjie (Evan Bird), is enjoying his position as Hollywoodâs most sought-after 13-year-old, managed by his taskmaster stage mother (Olivia Williams) and doted on
by his self-help guru dad, Dr. Stafford Weiss (John Cusack), though it canât be long before Benjieâs walking the red carpet with a paper bag over his head.
The connections between all these characters are relatively clear from the outset, which spares us the satisfaction of waiting to discover how they fit together. Of the main characters, only limo driver Jerome Fontana (Robert Pattinson, at the wheel rather than in the backseat after âCosmopolisâ) feels like an outsider, though it might have been wise to filter this unwieldy satire through his eyes â or those of someone not yet corrupted by association with the industry.
As it is, âMapsâ spreads itself too thin, lavishing the majority of its attention on Mooreâs high-risk performance. The actress seems game to push the limits, partnering with a director who never plays it safe, and yet Wagnerâs script is content to go after easy targets: child
actors, Scientology, revolving-door rehab programs, New Age-y pseudo-spiritualism. With all due respect to the fine work they do, acting is a line of work that tends to attract broken people: those who thrive under false identities, forever seeking public reinforcement.
In Havana, we see those insecurities writ large. But even at her most daring, Moore seems to be on a different wavelength from her director. She delivers her best scene on the toilet, for crying out loud, but Cronenberg plays it cool and detached, as always. He and d.p. Peter Suschitzky frame every scene in virtually the same way: elegantly disengaged from the lunacy.
âMapsâ is the most overtly comedic screenplay Cronenberg has ever directed, but he hasnât tailored his lensing or editing style to fit. The laughs come anyway, although some of Wagnerâs funniest moments are left to languish, including an astoundingly inappropriate scene in which Havana celebrates the tragedy that
forces a rival actress to resign from the role sheâd coveted. If anything, Cronenberg has introduced a level of uncertainty as to whether itâs even appropriate to laugh when, say, Dr. Weiss starts punching his daughter in the stomach or Benjie strangles his young Ron Howard-like co-star â and the mayhem only escalates from there.
Itâs not as if Cronenberg is pulling any of his punches. He just doesnât manage to land very many of them, despite such provocations as a three-way sex scene and a badly rendered poolside barbecue. The film even has the nerve to call out real celebrities on their shortcomings, though Carrie Fisher is the only one to make a cameo.
It all feels too old â or âmenopausal,â as the hip kids put it in the film. Moore is incredible, but her characterâs frustrations would be more effective coming from a younger star, while the always-wooden Wasikowska
ought to stop playing 18-year-olds already. But casting isnât nearly as big a problem as the feeling that most of Wagnerâs criticisms were hatched in the early â90s, in a pre-smartphone era, before the Internet got nasty and back when the line âHarveyâs Harveyâ would have packed a lot more punch.
Perle di sceneggiatura
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Adler Entertainment, Inter Nos Web Communication e lo Studio PUNTO&VIRGOLA.