ROCK THE KASBAH: BILL MURRAY MANAGER MUSICALE IN AFGHANISTAN PER BARRY LEVINSON. AL SUO FIANCO UN MERCENARIO DAL GRILLETTO FACILE (BRUCE WILLIS) E UNA SCALTRA PARTNER (KATE HUDSON)
Dal Comic Con di San Diego 2015 - RECENSIONE - Dal 5 NOVEMBRE
“È una commedia ma senza toni spiccatamente farseschi. È una storia che ha bisogno di credibilità e di verosimiglianza. Abbiamo degli attori pashtun che recitano nel ruolo di pashtun. Parlano la propria lingua e danno un senso di verosimiglianza a tutta la situazione, contribuendo anche a creare lo humour che è una caratteristica intrinseca di questo film. Quando si parla di Afghanistan si pensa sempre e solo alla guerra. Ci sono sempre scene di guerra nei film in cui si parla di Afghanistan. Io, invece, volevo raccontare la storia di un’umanità semplice. Richie non fa eccezione. Perde soldi e passaporto e
improvvisamente si trova abbandonato in un mondo che non conosce e nel quale impara a orientarsi... La commedia è tale se gestita con intelligenza, se guarda ai problemi del mondo che ci circonda in modo onesto e corretto. Se pensiamo agli anni ’60, quando si parlava molto di proliferazione nucleare, c’erano due film che raccontavano esattamente la stessa cosa. 'A prova di errore' e 'Il Dottor Stranamore'. L’approccio di quest’ultimo è anche il nostroâ€
Il regista Barry Levinson
A down-on-his-luck music manager discovers a teenage girl with an extraordinary voice while on a music tour in Afghanistan and takes her to Kabul to compete on the popular television show, Afghan Star.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Ci sono dei marchi di fabbrica che si fanno sempre riconoscere. Potrà essere più o meno marcato di volta in volta, ma il marchio lo riconosci sempre. Quel timbro unico, inconfondibile, con i suoi tratti più o meno incisivi, più o meno sfumati. Ma è pur sempre quello. Uno tra questi distinguibili marchi è quello di Barry Levinson, regista di perle assolute come Rain Man-L'uomo della pioggia, Good Morning Vietnam, ma anche de L'uomo dell'Anno o dello spassosissimo Disastro a Hollywood. Un timbro in cui per 'mettere il dito in una piaga' non occorre attaccarsi per forza al gancio del dramma integrale, magari, si preferisce condividere l'appendiabiti con la commedia o con il contrapposto offerto dal paradosso. Del resto, la vita stessa può essere un gran paradosso! E in Rock the Kasbah, un film trasversalmente obliquo fin dal titolo (a quanto sembra ispirato al singolo dei Clash Rock the Casbah),
va in scena proprio questo, in una sorta di gemellaggio ideale, si direbbe, con l'illustre precedente dello stesso Good Morning, Vietnam. In entrambi i film, l'arte prova a tirar su il morale e a stimolare una sopravvivenza umana e creativa in territorio di guerra. E' così nel datato - ma solo dal punto di vista cronologico, che ci rimanda all'ormai lontano 1987 - Good Morning, Vietnam, quando era il mai compianto abbastanza Robin William a calcare le scene del protagonista, nelle vesti di Adrian Cronauer, un aviere dell'Aviazione USA ingaggiato come DJ nella radio locale dell'esercito: non un eroe, ma uno che con le uniche armi della fresca esuberanza e vivacità di carattere, riesce a far la differenza, a sconvolgere gli sconvolti, diventando l'idolo dei militari, e a sua volta a scoprire una cultura, quella dei vietcong, fino a quel momento inesplorata. Una commedia che, come richiamato alla memoria dallo
stesso Levinson, non rifuggiva dagli orrori della guerra ma si rifugiava in un genere di catartica levità di toni, quella che poi è valsa a Robin William un Golden Globe. Ed è così che, con affine marchio di fabbrica, sia pure un tantino meno marcato nei tratti, più sfumati ma pur sempre leggibili, muove l'odierno Rock the Kasbah, in cui a troneggiare questa volta c'è un Bill Murray ancora in ottima forma ironica, qui tradotto nel manager di musica rock Richie Lanz: uno che sul limitare del capolinea del fallimento tira avanti la barca arrancando tra la reale illusione della rimonta e una manica di bugie da vendere come fumo, tra cui la balla di essere stato il manager di Madonna. Sulla carta uno scopritore di talenti, nella realtà uno in cerca di soldi per non affondare del tutto e dunque disposto a raccogliere quel che trova. La comica
sequenza del provino canoro iniziale docet. E se per Robin William fu il Vietnam, per Bill Murray oggi è l'Afghanistan.
Chi l'avrebbe mai detto? Quando dici Afghanistan dici... conflitto. E si tende magari a dimenticare quanto l'Afghanistan sia terra di talenti, nascosti o esplosi, a più livelli. Il più clamoroso, sul piano letterario è quello che riconduce a Khaled Hosseini, scrittore naturalizzato statunitense di origine afghana per l'appunto, che restituisce dignità e respiro al suo Paese di origine con best seller indimenticabili come Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli. Rock the kasbah incrocia invece un insospettabile talento canoro, al femminile - e questo in Afghanistan può essere un grosso problema! - e ne traccia il percorso. Un percorso più accidentato dello stesso terreno di guerra, popolato da militari, armi e qualche esplosione estemporanea qua e là . Chi l'avrebbe mai detto, dicevo, che in territori in continuo stato di allerta,
quando non c'è neppure la corrente elettrica, fosse vivo quel fuoco di curiosità - e ardente il desiderio di una botta di fortuna - verso un programma televisivo a premi - lo 'Show Afghan Star', ad imitazione dello statunitense American Idol - al punto da trovare ogni modo possibile per non perdersi ogni puntata? Acquisterà solo più tardi un senso pieno l'avvio di Rock the Kasbah con l'accensione di una candela, il cui chiarore consente di mettere le mani su una batteria elettrica, in un'aura di oscuro, quasi magico, mistero. E dire che questa storia, che potrebbe sembrare di fantasia, è al contrario, ispirata a un fatto realmente accaduto - e a una giovane donna che ha trovato la forza e il coraggio per osare! - fatta eccezione per tutte le 'licenze poetiche' e le 'scorciatoie' che Levinson sembra aver pensato bene di prendersi per colorire la vicenda. E la
migliore tra queste 'licenze' è quella architettata tra le sagaci battute di una sceneggiatura effervescente e ben tornita e i brani musicali che cavalcano il nervo più esilarante del percorso, proprio nelle situazioni più paradossali: non possiamo fare a meno di notare - un sotteso omaggio a Robin William? - la canzone (Jump Around - House of Pain) che già aveva allietato la festa di compleanno in Mrs. Doubtfire.
Se dovessimo trovare un'etichetta per Rock the kasbah, potremmo dire che si tratta di un dedalo di 'scoperte'. La scoperta di una cultura un pò retrò - un pò troppo retrò, e si dice retrò per non dire retrograda - in cui alla donna è vietato cantare e il concetto di peccato e di vergogna sono declinati al femminile pena la scure. La scoperta di se stessi, paradossalmente in rapporto a quella cultura, e paradossalmente per poter cambiare. Ma la lealtà ha
evidentemente il potere di travalicare usi, costumi, tradizioni e negazionismi. La lealtà di non barare in un accordo, qualsiasi accordo. La lealtà può smuovere le montagne, anche quelle bellissime di cui si ammanta l'Afghanistan come una coltre di notte. Così, lo sgangherato e cialtronesco Richie/Murray, a cavalcioni di un paradosso dietro l'altro, come uomo di affari e della parola che insegue la contrattazione, anche se alle dipendenze del traduttore - lui con le armi della seduzione della parola, gli altri con le armi dal grilletto facile - guadagna punti proprio quando tutto sembra perduto, sostenuto da improbabili alleati come il Bombay Brian di Bruce Willis, che giogioneggia stando al gioco quasi in una parodia di se stesso nell'eterno ruolo del 'duro a morire', e come la prostituta d'alto bordo Merci, svestita, è proprio il caso di dirlo, da una Kate Hudson in forma smagliante. Ma a guadagnare davvero punti è