Dalla 73. Mostra del Cinema di Venezia - Dal 13 Aprile - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by Owen Gleiberman (www.variety.com)
"... Mi sono subito interessata alla storia delle sorelle Fox, tre sorelle medium americane che hanno inventato lo spiritismo alla fine del 19esimo secolo, grande mito americano. Il loro successo è stato considerevole, portando alla nascita e al prosperare di una dottrina con centinaia di migliaia di adepti in tutto il mondo, fino ai circoli intellettuali dell’Europa… Un episodio poco conosciuto ma che mi ha affascinato: l’assunzione, per un anno, da parte di un ricco banchiere, di una delle sorelle per incarnare lo spirito della moglie defunta. Questa storia mi è piaciuta. E’ stato un punto di partenza da thriller, fortemente hitchcockiano... Volevo fare un film francese, nella mia lingua, ed ho immaginato un tour europeo di due sorelle. Ho fatto del banchiere un produttore, poiché il mondo del cinema mi è sembrato cento volte più intimo di quello della finanza rispetto al tema dello spiritismo. Fantasmi, spettri, scenografie… Anche l’ambientazione è cambiata… Il periodo vittoriano, il 19esimo secolo non mi convincevano: ho spostato la storia negli anni ’30, con l’idea che questo produttore fosse ebreo e vittima di una campagna calunniatrice che ne avrebbe favorito la caduta. Eravamo appena usciti dal triste episodio di Dieudonné e del suo antisemitismo che mi ha colpito particolarmente, tra gli altri razzismi".
La regista e co-sceneggiatrice Rebecca Zlotowski
(Planetarium; FRANCIA/BELGIO 2016; Fantasy del mistero drammatico; 104'; Produz.: Les Films Velvet in co-produzione con: Les Films du Fleuve/France 3 Cinéma/Kinology/Proximus/Radio Télévision Belge Francophone (RTBF)/con la partecipazione del Centre National de la Cinématographie (CNC)/il sostegno di: Région Ile-de-France Région Provence-Alpes-Côte d'Azur con Canal+/Ciné+/France Télévisions; Distribuz.: Officine UBU)
Cast: Natalie Portman (Laura Barlow) Lily-Rose Depp (Kate Barlow) Emmanuel Salinger (André Korben) Amira Casar (Eva Saïd) Pierre Salvadori (André Servier) Louis Garrel (Fernand Prouvé) David Bennent (Juncker) Damien Chapelle (Louis) Jerzy Rogulski (Professor Ulé) Camille Lellouche (La sposa) Christophe Odent (Ange Ceccadi) Kamel Abdelli (Bonell) Michel Zlotowski (Padre Korben) Talina Boyaci (Mme Lefebvre) Benoît Forgeard (medico)
Scenografia: Katia Wyszkop
Montaggio: Julien Lacheray
Makeup: Christine Giugno
Casting: Philippe Elkoubi
Scheda film aggiornata al:
27 Aprile 2017
Sinossi:
Anni '30. Laura (Natalie Portman) e Kate Barlow (Lily-Rose Depp) sono due giovani sorelle americane che praticano sedute spiritiche. A Parigi, durante il loro tour europeo, incontrano André Korben (Emmanuel Salinger), un rinomato produttore cinematografico francese. Visionario e controverso, Korben è il proprietario di uno dei più grandi studios della Francia, dove produce film utilizzando costose tecniche americane all'avanguardia, senza badare a spese nonostante la Grande Depressione. Benché scettico, Korben decide di sottoporsi ad una seduta spiritica privata con le sorelle Barlow: gli eventi ai quali assisterà provocheranno in lui un forte shock. Profondamente colpito, offre ospitalità alle ragazze stipulando con loro un contratto annuale allo scopo di sfruttarle per realizzare il primo vero film di fantasmi. Ma le intenzioni di Korben sono ben altre e Laura capisce ben presto che vi sono ragioni più oscure che lo legano a loro.
SHORT SYNOPSIS:
Follows the journey of sisters who are believed to possess the supernatural ability to connect with ghosts. They cross paths with a visionary French producer while performing in Paris.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Non fatevi ingannare. Nulla è come potrebbe sembrare. Due sorelle medium americane (la Laura di Natalie Portman e la Kate di Lily-Rose Depp) che partono alla volta di Parigi all'altezza degli anni bollenti. Corre l'anno 1943. Tra verità e finzione, balzellando tra psicosi e ipnosi, di sensazione in sensazione, provata o immaginaria, l'eccentrica e ambiziosa pellicola di Rebecca Zlotowski, Planetarium, non è un film sui fantasmi, è piuttosto un cinema che parla di cinema e della vita, vissuta o rievocata, di tutti gli ansiogeni personaggi che la popolano. E' questa la vera seduta spiritica. Sono questi gli autentici fantasmi del reale. Quelli che abbracciano desideri e sogni irraggiungibili, come catturare e filmare l'attimo di un presunto fenomeno paranormale. Ed è per l'appunto questo l'ardito obiettivo del produttore cinematografico André Korben (Emmanuel Salinger), 'proprietario di uno dei più grandi studios della Francia, dove produce film utilizzando costose tecniche americane all'avanguardia, senza
badare a spese nonostante la Grande Depressione'. Un personaggio tanto enigmatico e visionario quanto controverso, colui che, vinto lo scetticismo iniziale, sottoponendosi ad una seduta con le due medium, resta talmente impressionato da maturare la folle idea di filmare il soprannaturale.
Un cinema che parla di cinema, dunque. O, per meglio dire, quello che avrebbe voluto essere, prima di imboccare un vicolo dietro l'altro, mutando direzione ad ogni angolo, fino a smarrire del tutto il senso pieno di una storia dalla dilatazione oceanica, in cui diventa evidentemente impossibile mantenere salda la presa al timone di guida. E come in un mare in tempesta, le acque si agitano fino ad intorbidarsi e niente è più chiaro. Non occorre essere tanto lapidari. Non almeno quanto "Variety" che ha definito Planetarium "un film inerte e sciatto - disordinato e senza meta". Certo è che un bel guazzabuglio è stato creato. Al punto da
diluire, fino a disperdere, il prezioso e nobile bagaglio artistico portato nel film, come le stelle nelle profonde oscurità di quel cielo notturno cui si è invitati a rivolgere lo sguardo, ma che non basta a giustificare l'eccentrico titolo. Bagaglio che affianca una bella fotografia ad un ottimo livello di recitazione, in particolare di Natalie Portman con la sua sedicente medium Laura, attrice per caso, che, nelle sperimentali riprese sul set, con il seducente effetto del film nel film (in bianco e nero e a colori), tra le altre cose, si rende intrigante complice di un compiaciuto omaggio al cinema muto, e dunque agli albori della settima arte.
A Planetarium manca d'altra parte quel collante indispensabile a legare i troppi frammenti tematici qui riuniti in modo da allontanare la vitale armonia come fosse un morbo letale. Così, alla fine, quel che resta e sopravvive, è un gran marasma di input
abortiti nel vorticare del mixer artistico della Zlotowski, qui al suo terzo lungometraggio (dopo il glorioso debutto di Belle Epine, premiato come 'Migliore Opera Prima' al Festival di Cannes del 2010). Così, mentre in Planetarium il sovrannaturale gioca a nascondino tra 'essere o non essere', il vero 'dilemma' diventa scovare il centro in questa sfera magmatica in cui il cinema ritrae il cinema, passando per l'ipnosi e per l'ossessione della riprova scientifica mancata a cavallo della fotografia in movimento e della sperimentazione. Nel disordinato percorso non mancano insospettabili soste, ora sulle sponde di rigurgiti di memorie belliche, talaltra di affetti scomparsi e in odore di riaffiorare, tra realtà e finzione, mentre si aprono le porte del carcere sull'onda di calunnie e sedicente razzismo. Aprendo e chiudendo su un incontro, alla fine il cerchio si chiude sul sipario di una pellicola affogata nell'oceano della sua stessa ambizione.
Secondo commento critico (a cura di Owen Gleiberman, www.variety.com)
As a psychic in pre-World War II France, Natalie Portman is more darkly adult than ever, but Rebecca Zlotowski's third feature is a meandering mess.
Natalie Portman started out playing the 12-year-old accomplice to a grouchy French hitman in “The Professional,” and for a long time after that she was the ingénue — most memorably in “Garden State,” where she did a great spin on that cloying ’60s/’70s archetype, the Kooky Girl. But it wasn’t until six years ago, at the 2010 Venice International Film Festival, that Portman finally changed her image, her trajectory, her aspect. As the possessed ballerina of “Black Swan,” she played an innocent — the traumatized victim of a quintessential stage mother — who was so fixated on becoming the dancer she thought she had to be that she colluded, with hellbent fervor, in her own destruction. She was going to rule over “Swan Lake”
if it killed her.
Portman’s Academy Award for Best Actress was sealed from almost the moment “Black Swan” premiered at Venice. But it wasn’t just joining the Oscar club that marked her transformation. The ingénue wasn’t an ingénue anymore: Portman’s performance was laced with the agony of a girl who forced herself to leave girlhood behind in order to live out her girlhood dreams. As an actress, she went over to the dark side of growing up, and the look on her face told you she wasn’t coming back.
In the six years since “Black Swan,” Portman has had a pretty quiet resume (a couple of “Thor” movies, a minor role in Terrence Malick’s “Knight of Cups”). Just today, though, she made a splash again at Venice with her lavishly praised performance as Jacqueline Kennedy in Pablo Larraín’s “Jackie.” No such expectation should be placed on “Planetarium” (which also just premiered at
Venice), in which she plays an American psychic in France on the eve of World War II. Watching this movie, though, you can see how Portman may have missed her calling — by about 75 years. In “Planetarium,” she’s radiant in a majestically troubled, are-you-experienced? way, like Garbo or Crawford, with the icy grin of a haunted goddess.
On the stage of a nightclub, where Portman’s Laura presides over séances along with her sister, Kate (played by Lily-Rose Depp, the daughter of Johnny Depp and Vanessa Paradis), she’s as cold as the Emcee in “Cabaret,” but she’s magnetic too. She has a force. Unfortunately, “Planetarium” is an inert and slipshod movie — messy and aimless, a period tale told with zero period atmosphere (you have to keep reminding yourself that it’s not taking place in 2016), built around a situation with enough possibilities to make you wish that the director, Rebecca
Zlotowski, had taken advantage of at least one of them.
A critics’ darling ever since her debut, “Belle Epine,” won a prize for Best First Feature Film at Cannes in 2010, Zlotowski may have conjured the “Cabaret” aura on purpose. “Planetarium,” the third movie she has directed, is one of those films about how no one can see that war is on the horizon, even though the signs are everywhere, and the vaguely “decadent” upper-crust atmosphere stands in for the breakdown to come. At a performance, Laura and Kate meet André Korben (Emmanuel Salinger), a wealthy movie producer obsessed with spiritualism — and with proving that it’s real. He hires the two women to star in a movie on the subject, entitled “Deadly Apparition.” It will be a scripted drama, though Korben plans to capture an actual conjuring on film.
That sounds like a nifty ambition, but when Korben makes a breathless
speech about “reinventing cinema,” it’s a sign that Zlotowski is piling on pet themes rather than bringing them to life. The dawn of World War II, the showbiz hucksterism of séances, the possible reality of séances (Laura, the film implies, has the true gift), the purity of cinema — “Planetarium” is an ambitious movie, but it’s also a listless hodgepodge.
Emmanual Salinger plays Korben with a kindly, pleasing bourgeois courtliness; he comes closest to giving this rickety movie a center of gravity. Portman gives it a downbeat glamour, but she’s stranded by the meager script. It’s never clear what drives this woman from Rochester, N.Y., to do what she’s doing. Lily-Rose Depp is playing the recessive second banana, but considering that her character is meant to be psychic, she’s awfully blasé. Depp seems to have inherited her father’s cool placidity without a trace of his mischief.
“Planetarium” has been made in a
lurchingly prosaic, tossed-together-in-the-editing-room way, so to ask whether the film “believes” in psychic phenomena is almost beside the point. Yet it certainly seems to: There’s a moment when some kind of visitation, in the form of a flashing puff of smoke, gets captured on film. Is this a new movement in French-speaking cinema? Olivier Assayas’ “Personal Shopper,” which divided audiences at Cannes a few months ago, is a movie that features actual ghosts, a startling thing to behold in the context of the secular objective eye of a director like Assayas. Maybe it’s just a coincidence, but if the next film by the Dardenne brothers turns out to be about a young woman in Brussels, abandoned by the state, who develops a relationship with an apparition who helps her break into the local welfare office, it will definitely be a trend.