"Tutto questo dà al film un senso di contemporaneità , una delle cose più importanti per tutti sin dall’inizio del progetto era la necessità di ambientare tutto come se, accendendo il telegiornale, potessimo sentir descrivere un fatto come quello che accade nel film anche oggi"
Il produttore e CEO di Skydance David Ellison
"Non abbiamo girato un film ambientato nel futuro, più che un film di fantascienza volevamo realizzare un film che sembrasse un evento scientifico"
La produttrice Dana Goldberg
"Oggigiorno si va su Marte per scoprire nuove forme di vita. Cosa accadrebbe quindi, se le scoprissimo realmente? Cosa accadrebbe nel momento in cui comunicassimo o ci relazionassimo ad esse?"
La produttrice Bonnie Curtis
(Life; USA 2017; Thriller Sci-Fi Horror; 103'; Produz.: Columbia Pictures/Nvizage/Skydance Productions/Sony Pictures Entertainment (SPE)/Sony Pictures; Distribuz.: Warner Bros. Pictures Italia)
Effetti Speciali: David Watkins (supervisore); William John Gant e George Buckleton
Scheda film aggiornata al:
20 Aprile 2017
Sinossi:
In breve:
Life - Non oltrepassare il limite è un agghiacciante thriller fantascientifico incentrato su una squadra di scienziati a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, la cui missione si tinge di autentica paura quando si scopre che una forma di vita in rapida evoluzione, causa dell’estinzione della vita su Marte, sta minacciando la squadra e la vita stessa sulla Terra.
Short Synopsis:
An international space crew discovers life on Mars
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Premessa d'obbligo
Non c'era bisogno, ma va bene lo stesso. No, dico, non c'era bisogno che il regista sceneggiatore e produttore cinematografico svedese di origine cilena Daniel Espinosa (Safe House-Nessuno è al sicuro, Child 44-Il bambino numero 44) rimarcasse le sue fonti, o, per meglio dire, "i suoi eroi cineasti", con l'attenzione prestata al loro approccio alla fantascienza. Il nervo narrativo già ne stimola la memoria: 'un agghiacciante thriller fantascientifico incentrato su una squadra di scienziati a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, la cui missione si tinge di autentica paura quando si scopre che una forma di vita in rapida evoluzione, causa dell’estinzione della vita su Marte, sta minacciando la squadra e la vita stessa sulla Terra'. Si parla dunque di una vita aliena, celebrata nel titolo inglese Life come 'prima donna incontrastata', mentre quello italiano rincalza - mai accontentarsi dell'essenziale! - con l'inconfondibile monito 'Non oltrepassare il limite'. Con
simili premesse, a chi non viene in mente il mitico Alien di Ridley Scott? A dire il vero è venuto in mente a tutti. Ma proprio a tutti! E all'inevitabile riferimento della indimenticabile pellicola scottiana Espinosa aggiunge 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e Solaris di Andrei Tarkovsky. Fin qui nulla di male. Ognuno ha avuto i suoi Maestri. Anche Giotto ha guardato a Cimabue prima di portarsi ben oltre. Ma il punto è: il regista Daniel Espinosa in Life-Non oltrepassare il limite è riuscito a fare altrettanto? E' riuscito nel suo intento? Guardare alle sue icone - e non sono queste le uniche! - prima di elaborare un film 'personale'?
Questione di prospettiva
Non è male la prospettiva di Espinosa. Una prospettiva di matrice contemporanea: immaginare non tanto di fare un film sul futuro ma di accendere la TV e sentire tutto quello sta accadendo dal telegiornale come un
fatto del giorno, una notizia dell'ultim'ora, un evento scientifico da guadagnarsi il podio del primo posto nelle Breaking News. Espinosa rimarca il tratto realistico di natura scientifica del film richiamandosi al fatto che gli scienziati hanno di recente avuto prova della presenza di acqua su Marte, come hanno scoperto migliaia di esoplaneti che ruotano intorno ad altre stelle ed hanno persino risvegliato microbi di 50 mila anni ibernati in cristalli. Si è sentito dunque l'impulso di una novella attualità del tema? Allora chi l'ha immaginato prima che diventasse attuale è un genio! Ma questo lo sapevamo già .
E dunque... che succede veramente nel film e qual è la cifra stilistica?
Non sono male i primi passi con cui si intesse un lungo prologo prima di far sfilare il titolo: un bel piano sequenza su un ampissimo squarcio di natura cosmica, note musicali alla Blade Runner in sottofondo, prima che si entri nel
vivo del traffico spaziale e si offra alla vista tutta la magnificenza di un sorgere lento e sinuoso della Stazione Internazionale Spaziale. Un virtuosismo scenico con cui Espinosa guadagna punti in merito al tocco personale. E, a dire il vero, non sono male neppure molti altri passaggi, a cominciare dai primi movimenti dell'organismo vivente monocellulare alieno ancora in erba, sotto stimolazione indotta. Niente di inedito, ma rielaborato in un modo che ha un suo fascino e che riesce a catturare l'attenzione. Che è poi la cifra della maggior parte del film, soprattutto della prima parte direi, poi alcune ingenuità condite con battute a rischio comicità , e un procedere a cavallo del dejavu, nel senso del già visto e rivisto al punto che la rielaborazione non tiene neppure al gancio di scenografie, fotografia ed effetti di tutto rispetto, fa scendere a questo Life tanti di quei gradini da finire quasi nello
scantinato. E per arrivarci non si disdegnano neppure scorciatoie che confinano stralci di trama nelle nebulosità dell'immaginazione e scelte dei protagonisti sul polveroso selciato degli sprovveduti più che dei veri professionisti.
Il primo errore a rischio comicità e protagonisti mal posti sotto i riflettori
Il primo errore diventa tanto fatale quanto a tratti comico: la battuta 'ha perso interesse' riferita all'organismo che non molla la presa è davvero irresistibile! La sperimentazione intorno all'ignoto reattivo, una volta risvegliato, l'organismo monocellulare alieno biancastro e gelatinoso dai movimenti sinuosi come un'alga nel cuore delle profondità oceaniche, si fregia difatti delle disavvedute manovre di Hugh Derry (Ariyon Bakare) che ci giocherella neanche fosse un amichetto di vecchia data, da cui è d'altra parte ammirato ed irresistibilmente attratto. Ad assisterlo a distanza, sulla coda dell'imprevista aggressione dell'ancora minuscolo organismo, un dispiegamento di forze che si rivelerà tanto inefficace quanto sottoimpiegato: Ryan Reynolds con il suo Rory
con perdite umane di colleghi amici non messe nel conto, e lasciamo perdere. Il giapponese Hiroyuki Sanada, tradotto in Murakami, sta in scena quel tanto che basta a celebrare la nascita a distanza della sua bambina prima di interpretare un catastrofico cameo nel 'tete a tete' con l'alieno ormai cresciuto e in età scolare. Alla Dott.ssa Miranda North di Rebecca Ferguson l'onore e l'onere, come medico preso in prestito dal Centro di Controllo e Prevenzione Malattie, di mantenere in perfetta salute tutti i membri dell’equipaggio, ma anche gli abitanti della Terra, da strane contaminazioni eventuali. Tra gli altri componenti della squadra anche il personaggio femminile di Ekaterina (Olga Dihovichnaya), stucchevolmente insignito con l'inflazionato ed immancabile accento russo. Un team peraltro preventivamente presentato ai ragazzi di una scuola - e al contempo allo spettatore - che battezzano l'organismo con il nome di Calvin.
L'inizio della fine, omaggio o plagio?
L'inizio della fine...
del nostro interesse, si dipana in una traiettoria speculare all'esponenziale crescita molecolare e intellettiva dell'organismo stesso - per gli amici Calvin, se solo ne avesse qualcuno! - interattivo con l'essere umano esattamente come un demone, con cui condivide, per scelta, le stesse vie d'accesso, alimentato unicamente dalla sete di sopravvivenza ai feroci quanto inutili attacchi di difesa degli umani. E se fino a quel momento era rimasto un barlume di speranza... La speranza che sul processo delle manovre di difesa, sulla cresta dell'evolversi dei movimenti, potesse succedere qualcosa di inaspettato - Beh si sa, che la speranza è sempre l'ultima a morire! - ecco che la vediamo esalare l'ultimo respiro sui binari morti dell'inevitabile e dell'inevitabilmente orecchiato, sempre pescando nel prestigioso pozzo dei cult: dall'originale scottiano Alien a La cosa di John Carpenter - "L’idea era che l’alieno fosse ibernato, e quindi protetto dalle radiazioni solari, sotto la superficie del
pianeta stesso" - fino al Gravity di Alfonso Cuaron, da cui Espinosa trae ispirazione, oltre che per le varie manovre in assenza di gravità all'SSI, anche per l'epilogo, mescolando però le carte al punto da azzardare una sterzata a rischio sbandamento. E quella che poteva essere una novità assume invece tutto il respiro di una svolta ai limiti del risibile. Al che, il sottotitolo Non oltrepassare il limite, potrebbe anche suonare come beffardo monito, più per il rapporto del regista con il suo film che non per la specie umana nei riguardi di Life, la vita dell'Alien Calvin, ancora più suscettibile e intelligente del suo antenato. Ah! Le nuove generazioni!