VINCITORE dell’European University Film Award (EUFA) - RECENSIONE - VINCITORE della Palma d'Oro alla 'Migliore Sceneggiatura' al 71. Festival del Cinema di Cannes - Dal 31 Maggio
"Lazzaro Felice è la storia di una piccola santità senza miracoli, senza poteri o superpoteri, senza effetti speciali: la santità dello stare al mondo e di non pensare male di nessuno, ma semplicemente di credere negli altri esseri umani. Racconta la possibilità della bontà , che gli uomini da sempre ignorano, ma che si ripresenta e li interroga come qualcosa che poteva essere e non abbiamo voluto".
La regista e sceneggiatrice Alice Rohrwacher
(Lazzaro felice; ITALIA 2017; drammatico; 125'; Produz.: Tempesta/Carlo Cresto-Dina con Rai Cinema in coproduzione conAmka Films Productions/Ad Vitam Production/Pola Pandora ; Distribuz.: 01 Distribution)
Quella di Lazzaro, un contadino che non ha ancora vent’anni ed è talmente buono da sembrare stupido, e Tancredi, giovane come lui, ma viziato dalla sua immaginazione, è la storia di un'amicizia. Un’amicizia che nasce vera, nel bel mezzo di trame segrete e bugie. Un’amicizia che, luminosa e giovane, è la prima, per Lazzaro. E attraverserà intatta il tempo che passa e le conseguenze dirompenti della fine di un Grande Inganno, portando Lazzaro nella città , enorme e vuota, alla ricerca di Tancredi.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Nella 'bucolica in celluloide' di Alice Rorhwacher il riscatto sociale di un'umanità non disgiunta da una spiritualità rivelata, passando per la parabola biblica e la metafora francescana.
"Il lupo trova Lazzaro svenuto... allora si avvicina e sta per divorarlo ma sente un odore mai sentito prima. Era l'odore di un uomo buono"
morale travalicano le epoche, i modi e i mezzi. Regole che restando immutabili e sempre attuali. Obelischi 'socio-morali' per l'eternità . Ecco, questo Lazzaro felice di Alice Rorhwacher, che si presenta con la veste di un'incantevole 'bucolica in celluloide', rappresenta proprio questo, un prezioso obelisco antico che parla alla contemporaneità con il linguaggio proprio della parabola biblica. L'inserto con San Francesco e il lupo, lampeggiante nella storia con un intermittente intercalare, nella seconda parte del film, ha questa straordinaria valenza, mentre si fa largo la visionarietà iconica della matrice spirituale celebrata nel finale. Quel lupo che corre quasi con lo sguardo puntato in macchina in un contenuto piano sequenza prima che si levino le note di un brano dedicato a Lazzaro sui titoli di coda, è di una potenza inenarrabile, da brivido. E' il momento di non alzarsi e restare seduti qualche momento per ascoltare bene le parole del brano in
Se esistesse un esempio in carne ed ossa di ciò che significa il biblico diktat "porgere l'altra guancia", e se questo potesse avere un nome, si chiamerebbe Lazzaro. Ed è nell'aggettivo 'felice' che si racchiude proprio l'anima del concetto. Lazzaro (Adriano Tardiolo), un giovane contadinotto candido e silente, sempre pronto ad intervenire là dove c'è bisogno. E non sempre per suonare la cornamusa per la serenata sotto la finestra in favore di una ragazza. L'aspetto lirico della 'bucolica'! Tutti lo chiamano, tutti se ne servono, e se qualche serpe umana, più
consentire alla parabola di decollare e alla spiritualità di prendere il sopravvento. Ed è il momento in cui Lazzaro assume le sembianze di una 'prospettiva'. Una prospettiva che potrebbe valere anche per la contemporaneità , che non conosce, o preferisce misconoscere, quel genere di bontà . D'altra parte, quasi più divina che umana. Ma pur sempre una 'prospettiva' in cui si annida un altro diktat biblico "se non tornerete come bambini...".
Ma di fatto non ci sono parole per descrivere a pieno titolo quel che succede in Lazzaro felice, storia in cui non a caso dominano i silenzi, eppur storia di sopraffazione e di indegno approfitto sociale. Del cosiddetto 'Grande Inganno' si fanno coraggiosamente carico Nicoletta Braschi con la Marchesa Alfonsina De Luna, e il suo degno braccio destro. Personaggi che traducono dalla vera storia di questa marchesa, lo spirito dell'indebito sfruttamento della loro forza lavoro. La menzogna sovrasta l'ingenuità e l'innocenza
di quel manipolo di contadini tenuti all'oscuro del fatto che la mezzadria è finita da un pezzo. Il 'grande inganno', appunto, che prosegue in altri termini una volta smascherato: docet la sequenza con il braccio destro della marchesa che da solo cerca di sfruttare e ingannare un disperato manipolo 'misto' di immigrati in cerca di lavoro. Persino il dissennato figlio della Marchesa, Tancredi (Luca Chikovani da giovane e Tommaso Ragno da adulto), disprezza la madre e i suoi metodi, e pur servendosi della incondizionata e totale generosità di Lazzaro, la bontà fatta persona al punto da rasentare la stupidità ad occhi umani, intesse con lui un'amicizia impari eppur destinata a crescere fino a diventare monumentale.
Una bontà d'altra parte possibile e soprattutto non incomprensibile. Ci si aspetterebbe che la Chiesa fosse la prima a comprendere e invece no. La sequenza in cui Lazzaro e gli altri vengono cacciati come elemento
di disturbo dalla suora che vuole seguire la musica d'organo è veramente forte, e lo è ancor più quando, in un successivo momento surreale, tra i più lirici, è la musica stessa a seguirli fuori dalla Chiesa. Una metafora senza limiti e confini per un messaggio lapidario dal taglio netto. E' invece l'Antonia di Alba Rorhwacher - incantevolmente 'sospesa' come solo lei riesce ad essere sul grande schermo - ad elevarsi a simbolo elettivo di comprensione e di accoglienza di quel genere di bontà . E cerca di farla propria, di seguire l'esempio di Lazzaro, di cui intravede la luce interiore. Ed è qui che la prospettiva diventa possibile. Un ideale che non può restare tale ma che può vivere nelle nostre azioni. Il dono delle paste, le migliori, pagate un occhio della testa per onorare un invito a pranzo 'disonorato' e che non avrà mai luogo è un altro dei
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