Cinema sotto le stelle 2019 - VINCITORE agli OSCAR 2019 di 3 statuette: 'Miglior Regia' (Alfonso Cuaron e Galo Olivares); 'Miglior Film Straniero'; 'Migliore Fotografia' (Alfonso Cuaron) - VINCITORE di 2 GOLDEN GLOBES 2019: 'Miglior Film Straniero' e 'Miglior Regista' (Alfonso Cuarón) - Ancora al cinema - RECENSIONE - LEONE d'ORO alla 75. Mostra del Cinema di Venezia - Con un'artistica lettera d'amore alle donne che lo hanno cresciuto, il regista Alfonso Cuarón attinge alla propria infanzia per creare un vivido ed emozionante ritratto di conflitto domestico e gerarchia sociale nel pieno delle turbolenze politiche degli anni '70 - Dal 3 Dicembre
(Roma; MESSICO 2018; Drammatico; 135'; Produz.: Esperanto Filmoj/Participant Media; Distribuz.: Netflix (Usa); Cineteca di Bologna (Italia))
Soggetto: Roma è un ritratto di vita vera, intimo e toccante, raccontato attraverso le vicende di una famiglia che cerca di preservare il proprio equilibrio in un momento di lotta personale, sociale e politica.
Roma racconta un anno turbolento della vita di una famiglia borghese nella Città del Messico degli anni 70, attraverso le vicende della domestica Cleo (Yalitza Aparicio) e della sua collaboratrice Adela (Nancy GarcÃa GarcÃa), entrambe di discendenza mixteca, che lavorano per una piccola famiglia borghese nel quartiere Roma a Città del Messico, una famiglia guidata da Sofia (Marina de Tavira), madre di quattro figli, che deve fare i conti con l'assenza del marito, mentre Cleo affronta una notizia devastante che rischia di distrarla dal prendersi cura dei bambini di Sofia, che lei ama come se fossero i propri.
Con un'artistica lettera d'amore alle donne che lo hanno cresciuto, Cuarón attinge alla propria infanzia per creare un vivido ed emozionante ritratto di conflitto domestico e gerarchia sociale nel pieno delle turbolenze politiche degli anni '70.
Short Synopsis:
A story that chronicles a year in the life of a middle-class family in Mexico City in the early 1970s
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Il prolungato, straordinario, piano sequenza sui titoli di testa ne cadenza il respiro. I rumori in sottofondo di acqua corrente, il secchio che sbatte, fanno da apripista alla prima – tra le molte altre a seguire – scialbata sul pavimento. E’ su una scialbata dopo l’altra che si apre il riflesso sull’acqua di una finestra ed è lì che lo vediamo traversare in volo. L’aereo emblema di salvezza per chi ha la fortuna di poter migrare da un’altra parte. Con i tempi lenti della vita che riflette il volto di un sacrificio quotidiano, si allarga il campo per aprire su un cortile-corridoio interno, habitat elettivo di un cane che si ingegna ad abbellirlo con i propri escrementi. Il passaggio obbligato per accedere all’abitazione di una famiglia, composta dalla signora Sofia (Marina de Tavira), madre di quattro bambini, un marito per lo più assente ed una nonna. Una famiglia abbastanza borghese
da permettersi due domestiche a tempo pieno: Cleo (Yalitza Aparicio) e la sua collaboratrice Adela (Nancy GarcÃa GarcÃa), entrambe di discendenza mixteca. E’ così che facciamo la prima conoscenza del quartiere Roma (da qui il titolo al film) nella Città del Messico degli anni Settanta. La ‘culla’ delle origini del regista Alfonso Cuarón in cui ritorna, cinematograficamente parlando, anni dopo Y Tu Mama Tambien (E anche tua madre, 2001).
L’autorialità di Alfonso Cuarón è un marchio riconoscibile da tempo (I figli degli uomini), eppure con Roma (film con cui si è aggiudicato il Leone d’oro alla 75. Mostra del Cinema di Venezia) si inoltra in un inedito che sfiora le sponde di un neorealismo, per certi versi apparentato con quello italiano di Vittorio De Sica, con affini umori di denuncia sociale che sarebbero piaciuti anche a Pier Paolo Pasolini e persino a Roberto Rossellini. Il grande cinema della vita vera insomma.
E forse non è un caso che Roma costituisca il film più autobiografico di Cuarón, di cui firma sceneggiatura, montaggio, direzione della fotografia e naturalmente regia. La scelta congiunta del bianco e nero, della lingua spagnola originale sottotitolata, mentre sullo sfondo convivono lingue dialettali locali lasciate in originale, la selezione di protagonisti non attori professionisti, l’abbondanza di piani sequenza e carrellate, le particolarissime ‘finestre audio’ che lo spettatore percepisce sui lati fuori dallo schermo, rappresentano gli stilemi con cui Cuaròn apre uno degli squarci temporali più intimisti e viscerali nel cuore della sua Città del Messico degli anni Settanta. Non dimenticandosi del cinema - i suoi personaggi si trovano spesso davanti al grande, o piccolo schermo - come anima della sua stessa crescita, e pure con un pizzico di autoironia: anche lo spezzone del suo Gravity incastonato nella storia di Roma dà la misura di quanto sia personale questo film.
Ma Roma vuole essere principalmente un’accorata, prima che ‘artistica’, lettera d’amore alle donne che lo hanno cresciuto. Un tuffo nel passato della propria infanzia con cui Cuarón genera un doloroso, eppur di subliminale bellezza, ritratto composito, a più strati: di conflitto domestico, di gerarchie sociali e nel pieno delle turbolenze politiche degli anni Settanta. Il film reca una dedica personale del regista “per Lipoâ€.
Uno sguardo a ritroso dunque, rivolto verso lo spaccato sociale della sua Città del Messico negli anni Settanta, in particolare alle persone più umili che lo hanno aiutato dall’interno, nella crescita personale e, in frangenti poco favorevoli. Matura così, pennellata dopo pennellata, intensamente monocroma, il profilo di coloro che sono state di fatto le colonne portanti di famiglia passando quasi inosservate. ‘Le invisibili’, al servizio totale di classi più abbienti, non sempre riconoscenti verso un sacrificio di devozione, mentre fuori dalle mura domestiche montavano le prime, sanguinose,
sommosse e manifestazioni studentesche, contro il regime politico. Ma è quasi interamente suo il primo piano: l’iconica, silente, paziente e anche ben poco fortunata Cleo, ritratta in ogni piega di un quotidiano sfiancante, nel segno di una vita ‘dedicata’. Una ‘missione’ amorevole al punto da accudire come suoi i bambini della famiglia cui è a servizio. Eppure, per uno strano scherzo del destino, Cleo e la signora Sofia si troveranno vicine in un del tutto imprevisto abbraccio di solidarietà , ognuna sulla rispettiva cresta di diverse sofferenze tipicamente femminili, riassunte al cuore da una desolante battuta: “Non importa quello che ti dicono, alla fine siamo sempre soleâ€.
Un destino tanto amaro da far sembrare dolce persino l’idea della morte: il gioco di Cleo con il bambino più piccolo tocca alcune delle corde più liriche, ma è l’amore incondizionato di una donna tanto semplice e sottomessa quanto profonda, a far vincere la