“Quando faccio un film esprimo un mio punto di vista, perciò il fatto che io sia una persona piena di speranza nella vita, in qualche modo ‘contamina’ questo film. L’umanità ha un talento straordinario per la distruzione, ma allo stesso tempo è capace di solidarietà e di superare insieme i problemi. In fondo ‘Children of Men’ non è tanto incentrato sull’umanità distruttiva, quanto sul potere delle ideologie e delle azioni al loro servizio… Mi sembrava una storia molto adatta per parlare del mondo di oggi, con la scusa che si tratta del ‘prossimo futuro’. Non volevo un film sul futuro, bensì un film sul presente e sulle circostanze odierne che sono alla base del nostro futuro. Questa non è fantascienza, ma un ‘chase movie’ (un film di inseguimenti) ambientato nel 2027â€.
Il regista Alfonso Cuarón
(Children of Men, UK/USA 2006; Thriller drammatico fantascientifico; 114'; Produz.: Universal Pictures International/Universal Pictures/Strike Entertainment/Beacon Communications LLC/Hit & Runa Productions/Quietus Productions Ltd.; Distribuz.: UIP Italia)
(Comment by PATRIZIA FERRETTI) - Not a sci-fi movie, but an achievable project to talk about today, about all those ideology, factions that brings the humanity to self-destruction; a very realistic vision more than a pessimistic one. Such as the movie leaves an opening to hope; hope based on the trust of the evolution of the human spirit. Just like in Oliver Stone’s “World Trade Center†the salvation of the human race, even though disposed to violence but at the same time capable of solidarity and affection, starts from the birth of a new life. In the movie the salvation comes to life in a miraculous way, a very unlikely event, only if you look at the wars still going on in our world, in our real and present time; this is just conceivable if we think that “every thing is cosmic war between faith and destinyâ€.
(Translation by MARTA SBRANA, Canada)
NON UN FILM FANTASCIENTICO, MA UN PRETESTO NARRATIVO FUTURIBILE PER PARLARE DELL’OGGI, DI TUTTE QUELLE IDEOLOGIE E FAZIONI CHE CANDIDANO IL GENERE UMANO ALL’AUTODISTRUZIONE. UNA VISIONE REALISTICA, PIU’ CHE PESSIMISTA, CHE D’ALTRA PARTE NON MANCA DI LASCIARE UN VARCO APERTO ALLA SPERANZA, FONDATO SULLA FIDUCIA NELL’EVOLUZIONE DELLO SPIRITO UMANO. COME NEL ‘WORLD TRADE CENTER’ DI OLIVER STONE, LA SALVEZZA DEL GENERE UMANO, TALVOLTA PARTICOLARMENTE INCLINE ALLA VIOLENZA, MA ANCHE CAPACE DI SOLIDARIETA’ E AMORE VERSO IL PROSSIMO, GIUNGE DALLA NASCITA DI UNA NUOVA VITA, QUI MIRACOLOSAMENTE VENUTA ALLA LUCE IN CIRCOSTANZE IMPROBABILI, IMMAGINABILI SOLO SE SI GUARDA ALLE GUERRE ‘FUORI PORTA’ APPENA CONSUMATE O TUTTORA IN CORSO DEL NOSTRO PRESENTE REALE. IMMAGINABILI SOLO ALLA LUCE DEL FATTO CHE ‘OGNI COSA E’ UNA BATTAGLIA COSMICA TRA FEDE E CASO’
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In effetti lo spunto della storia di Children of Men, tratto da un romanzo scritto dalla stimata autrice di ‘gialli’ P. D.
James, può trarre in inganno e far pensare che il film di Alfonso Cuarón, a questi ispirato, possa inquadrarsi nel genere fantascentifico. Non è affatto così. Non almeno nel senso tradizionale del termine. In realtà di futuribile c’è solo l’alito, il pretesto, per trattare invece di un assoluto presente, tutt’altro che idilliaco, con un futuro all’orizzonte abbastanza imminente e ancor più catastrofico, ma non senza speranza. Non è un caso che non si sia scelta una data di riferimento estremamente distante dal momento in cui viviamo. Si tratta della Londra all’anno 2027, dunque il margine di scarto con l’oggi non è certo secolare. Lo scenario si delinea con tratti estremamente inquietanti fin dalle prime battute, quando, dopo la notizia televisiva trasmessa in un bar circa la morte di un ragazzo diciottenne, la persona più giovane al mondo, il locale esplode facendo strage degli avventori. Scenario dove veniamo a conoscenza di
Iraq, Afghanistan, Africa ecc.), ma che sentiamo ‘geograficamente’ distante. Una metafora studiata quindi per far capire ai Paesi che nella nostra realtà attuale non soffrono di questi problemi, che quelle drammatiche situazioni off-limits potrebbero invece investirli in prima persona. Il pretesto dell’improvvisa infertilità da parte delle donne, dell’impossibilità di procreare, mettendo dunque a rischio la sopravvivenza del genere umano, sembra strumentale ad amplificare il senso, l’importanza della vita umana nella sua integrità dignitaria e morale. Perciò, con l’evidente e dichiarata volontà di far provare come ci si possa sentire trovandosi dall’altra parte, il regista mette, per così dire, in gabbia, gli occidentali, affidando ai profughi, agli immigrati, in particolare alla giovane ‘donna – simbolo’ Kee (Clairie-Hope Ashitey) che, come per miracolo, sta per avere un bambino, la chiave della salvezza del genere umano. Altro che fantascienza! Qui si parla metaforicamente, e nemmeno più di tanto, dei veri punti di
forza del soggetto del film: immigrazione, ambiente, fertilità , guerra e sopravvivenza.
In mezzo a tanto sangue e violenza, tutto quel che comporta e produce lo spirito della guerra, scartando dalla retorica e secondo una cifra stilistica sua propria, Cuarón trova modo e ragione fondata per aprire il suo squarcio di speranza. Sostanzialmente in linea con il messaggio finale del World Trade Center di Oliver Stone, vede nella nuova vita, ancor più preziosa quando rara, anzi, unica, come nella contestualizzazione di Children of Men, lo spiraglio, l’apertura verso la salvezza e la soluzione dei problemi. Anche questo film porge la sua sequenza memorabile, appuntata sul momento in cui il protagonista Theo (Clive Owen), protettore della ragazza con la bambina partorita tra i bombardamenti (cui il sonoro provvede a renderci pienamente partecipi), passano in mezzo a raffiche di colpi d’arma da fuoco, esplosioni e stuoli di militari. Il loro passaggio blocca, sia
pure temporaneamente, la guerra in corso, e i soldati guardano a questa sorta di miracolo, date le circostanze, in cui questa nuova vita è venuta al mondo, sia pure un mondo come quello. La metafora della ‘Sacra Famiglia’ ha comunque vita breve. Non vogliamo per ora dire di più. Quel che comunque il regista ha inteso affermare quale punto focale della storia dandole priorità assoluta e un futuro più duraturo nel tempo, è proprio questa nuova vita, con uno stimolo in più alla riflessione appuntato sulla sua provenienza, quella da cui nel film dipende la salvezza del genere umano.
Commenti del regista
“Molte delle storie del futuro si rifanno al concetto del ‘Grande Fratello’ di Orwell, ma questa è una visione molto novecentesca del potere dispotico. Oggigiorno le forme di tirannia assumono vesti diverse e ciò che chiamiamo democrazia è una di queste. Trovo che questa sia un’idea molto interessante che emerge in ‘Children of Men’… Nel creare la fittizia linea temporale che anticipa e spiega l’inizio del film, alcuni fatti che abbiamo inserito nella nostra storia si verificavano davvero e nei telegiornali assistevamo alle immagini che avevamo pensato per il nostro film, ambientato però a 21 anni di distanza da ora. Il mio intento non è certo quello di dare risposte, bensì di sollevare domande, di generare qualche pensiero. Nel complesso è senza dubbio un film che spera in un futuro miglioreâ€.
Clare-Hope Ashitey (Kee): “Ciò che fa più paura rispetto al mondo creato da ‘Children of Men’ è la reazione del governo agli eventi globali. Invece di unirsi e di aiutarsi reciprocamente, nel film gli stati si comportano in modo opposto. E’ una prospettiva spaventosa, l’idea che l’egoismo e l’isolamento abbiano il sopravvento sul bene e sul senso di compassioneâ€.
Altre voci dal set:
Il produttore Marc Abraham: “Alfonso è un regista di enorme talento. Nutre una profonda passione per ciò che fa e il modo in cui visualizza le sue storie è molto particolare. La sua partecipazione ci ha infuso una nuova energia… Mi è sempre piaciuta la tipologia dell’antieroe che all’inizio è riluttante a combattere. In questo senso mi hanno molto ispirato i film degli anni ’70. Il fatto che Theo, un uomo che in qualche modo ha ‘bruciato’ le sue risorse, debba occuparsi di proteggere qualcuno, la prima donna incinta del pianeta dopo quasi 20 anni, è un’idea drammatica molto chiara e precisa. Alfonso ha aggiunto a questa premessa altri temi di grande attualità e di forte rilevanzaâ€.
Il direttore della fotografia Emmanuel Lubezky: “La cinepresa è diventata quasi un’altra persona sul set, una presenza curiosa, invadente che segue il nostro personaggio principale e che a volte diventa nervosa e scostante. In questo modo il pubblico entra nell’ambiente del film e avverte la sensazione del tempo realeâ€.