PRISONERS: IL DRAMMA DI UN PADRE (HUGH JACKMAN) NEL GIORNO DEL RINGRAZIAMENTO. SULLE TRACCE DELL'IMPROVVISA SCOMPARSA DI DUE MINORENNI, UN POLIZIOTTO (JAKE GYLLENHAAL) CON UN BACKGROUND CHE PUO' FARE LA DIFFERENZA
Dal III. Lucca Comics & Games - RECENSIONE - Dal 7 NOVEMBRE
"‘Prisoners' affronta una delle situazioni più difficili nella vita — la scomparsa di bambini. Il solo pensiero ci mette a disagio, veniamo immediatamente sopraffatti dalla paura. Dovendo pensare, ‘Cosa farei se fosse successo a me?’ sarebbe veramente inimmaginabile. Ti chiedi cosa faresti per ritorvare tuo figlio, prima che il tempo scada e sia troppo tardi. Opuure cosa faresti alla persona che, nel tuo cuore, ritieni responsabile, se ne avessi l’opportunità . E cosa succederebbe, se non sfruttassi quell’opportunità che avrebbe fatto la differenza? La paura fa scattare questi pensieri ed influenza le risposte. Anche dalla sicura poltrona di un cinema, i complessi conflitti morali, che provocano la nostra reazione a quella singolare emozione, sono affascinanti. Per me, come regista, è stato così interessante esaminare l’umanità che traspare da questi personaggi, che ero pronto ad affrontare le mie stesse paure... Ogni personaggio del film è, in qualche maniera, un prigioniero — delle circostanze, delle sue stesse nevrosi, della paura. Ogni individuo deve combattere contro la sua stessa prigionia, ognuno di loro combatte per trovare una via d’uscita".
Il regista Denis Villeneuve
"Quando ho iniziato a scrivere ho provato una sensazione, come quando metti fuori posto qualcosa di banale, come le chiavi dell’auto o il cellulare. Quel sottile panico che ti assale, quando cerchi qualcosa che di solito trovi in un dato posto e di colpo non è più lì. Quando ho avuto figli ed ho provato ad immaginare la stessa sensazione — con i miei figli protagonisti — è diventato qualcosa di totalmente diverso. Cosa scatena questo nella testa delle persone? Come ti cambia, cosa ti porta a fare ciò che normalmente non avresti mai fatto?"
Lo sceneggiatore Aaron Guzikowski
(Prisoners; USA 2013; Thriller; 155'; Produz.: Productions/Alcon Entertainment/Madhouse Entertainment; Distribuz.: Warner Bros. Pictures Italia)
Cast: Hugh Jackman (Keller Dover) Jake Gyllenhaal (Detective Loki) Maria Bello (Grace Dover) Paul Dano (Alex Jones) Melissa Leo (Holly Jones) Terrence Howard (Franklin Birch) Viola Davis (Nancy Birch) Dylan Minnette (Ralph Dover) Zoë Soul (Eliza Birch) Erin Gerasimovich (Anna Dover) Kyla Drew Simmons (Joy Birch) David Dastmalchian (Bob Taylor) Wayne Duvall (Capitano Richard O'Malley) Len Cariou (Padre Patrick Dunn) Jane McNeill (Infermiera) Cast completo
Effetti Speciali: Scanlan Backus, Aj Dzenowagis e Michael Dzenowagis (tecnici)
Makeup: Carol Rasheed; Pamela S. Westmore (per Hugh Jackman)
Casting: Kerry Barden e Paul Schnee
Scheda film aggiornata al:
27 Novembre 2013
Sinossi:
IN BREVE:
Fino a che punto si può arrivare per proteggere il proprio bambino? Keller Dover (Hugh Jackman) sta affrontando il peggior incubo di ogni genitore. La sua figlia di sei anni, Anna, è scomparsa insieme alla sua giovane amica, Joy, e quando i minuti cominciano a diventare ore, il panico dilaga. L'unico indizio è solo un RV fatiscente che era già stato parcheggiato lungo la loro strada. Il responsabile dell'investigazione, il Detective Loki (Jake Gyllenhaal) ha arrestato il conducente, Alex Jones (Paul Dano), ma la mancanza di prove lo ha obbligato a rilasciare l'unico sospettato. Sapendo che vita della figlia è in pericolo, il frenetico Dover conclude che non aver altra scelta, se non quella di prendere la situazione nelle proprie mani. Il padre disperato farà di tutto per trovare le ragazze, ma facendo questo, potrà perdere se stesso.
IN DETTAGLIO:
È un freddo e nuvoloso Giorno del Ringraziamento in un modesto sobborgo della Pennsylvania, il tipo di cittadina in cui i bambini vanno in bicicletta e giocano per strada ogni giorno. All’interno di una calda ed accogliente casa, gli operosi Dovers e Birches, amici per la pelle e vicini di casa, condividono il tradizionale pranzo della festa, rilassati, felici e del tutto a proprio agio. Il mondo gira a meraviglia.
Poi, improvvisamente tutto cambia. In un batter d’occhio, le due bambine, di appena sei e sette anni, scompaiono nel nulla. È forse la cosa peggiore che ogni genitore e ogni famiglia, possa immaginare. E per i Dovers ed i Birches inizia un traumatico incubo dal quale sembra non abbiano via d’uscita.
A Boston man kidnaps the person he suspects is behind the disappearance of his young daughter and her best friend.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Considerato l'illustre precedente in celluloide del regista canadese Denis Villeneuve con Incendies - La donna che canta, candidato all'Oscar come 'Miglior Film Straniero', le aspettative nei riguardi di una nuova pellicola da parte sua, non potevano che essere alte, malgrado il centro della nuova storia fosse rappresentato da un soggetto come il rapimento di bambini, non certo nuovo alla celluloide. In effetti, almeno per certi versi, non si può affermare che Prisoners manchi di spunti originali, senza dover necessariamente rinnegare una tratta di percorso inevitabilmente in corsa sui consueti binari dell'action thriller, fatto anche di fughe e di inseguimenti. Così, il tocco d'autore ci saluta dallo scorcio di un bosco innevato fin dalla primissima sequenza, rarefatta e sospesa, prima di appuntarsi su una scena di caccia, in una sorta di metafora apripista verso una storia che inquadra un genere di criminalità , figlia di disagi psichiatrici, così come di disagi dal
punto di vista sociale, là dove i limiti e confini di sicurezza, di tutela, di fiducia nella legge e nello Stato, si fanno tanto sfumati da rendere necessaria, all'occorrenza, una 'trascrizione' a carattere personale. Una 'trascrizione' riletta alla luce delle uniche armi che si crede di avere a disposizione - annebbiati dai fumi di rabbia, frustrazione e impotenza - sentendoci unici combattenti di fronte ad una giustizia laica precaria e inadeguata tanto quanto una fede religiosa che si è data latitante, quando ai margini di una dolorosa follia in pieno deragliamento, non si è persino tramutata in una vera e propria lotta vendicativa nei confronti di Dio.
Ma intendiamoci, Prisoners scarta totalmente dal protagonismo delle bambine scomparse - scomparse nella storia così come dalla vista dello spettatore - e scarta altresì sia dalla mattanza non di rado accordata dal cinema a casi di cronaca nera, sia da operazioni di salvataggio
alla 'rambo' da parte del corpo di polizia, per diventare un'opera di scavo psicologico all'interno dei protagonisti che restano sul campo per la ricerca. Un'opera che sa anche farsi esasperatamente dilatata, a tratti prolissa, pur nell'evidente intenzione di raggiungere il respiro reale, in una sorta di lunga soggettiva, del filo tensivo, carico di ansia e di sgomento, che avviluppa questi genitori scagliati all'improvviso nel dramma della scomparsa delle proprie figlie. Prisoners non si priva però del tutto delle sue note macabre, magari sull'onda di quegli effetti collaterali che una tragedia come questa può innescare in persone comuni, che improvvisamente, non senza rammarico, dal momento in cui sono denudati di un affetto irrinunciabile come quello di un figlio, si riscoprono senza legge e senza Dio.
Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal brillano della luce propria che sono riusciti ad infiltrare, a profondità interiori inimmaginabili, nei rispettivi personaggi del padre di famiglia Keller
Dover e del detective Loki. Sulle loro dinamiche interattive, che presto cavalcano la sfiducia di Keller/Jackman nei confronti della polizia in merito alle ricerche della figlia Anna, si spalmano le frange degli altri protagonisti: della signora Dover (una Maria Bello stucchevolmente melodrammatica per un copione che non ha evidentemente previsto di meglio per lei); dei genitori di Joy - l'amica di Anna - interpretati 'discrezionalmente', diciamo così, da Terrence Howard e Viola Davis; del sospettato Alex Jones (per una bella prova di Paul Dano); di sua zia Holly (un'intrigante e sorprendente Melissa Leo, aderente come un guanto ad un personaggio tipo, d'altra parte non certo inedito in film di genere). In sottofondo, un prete alcolizzato con qualche scheletro non dichiarato nella cantina, il secondo sospettato Bob Taylor (declinato in un viscido individuo con manìe, usi e costumi tali da non passare inosservati da David Dastmalchian) e un direttivo di polizia
scialbo e insignificante, tanto sciatto da stimolare una certa comprensione verso la mancata fiducia di Dover/Jackman, l'unico che, date le circostanze, riesce a nutrirsi solo di 'estremi' per costringere alla confessione della verità il suo primo sospettato, in barba alle infruttuose indagini in corso. Registro, quello delle torture ad personam, non condivise dai vicini di casa e di sventura (Howard-Viola), su cui la regia si concede il lusso di intrattenersi più del dovuto, tornandovi a più riprese, salvo poi optare per il 'divieto di sosta' alle fermate che restano in vacua attesa del destino di alcuni tra i protagonisti chiave di questo affannato ed ansiogeno puzzle, dall'intreccio in progress che, malgrado interessanti colpi di scena, tra un depistaggio e l'altro, diventa anche, inesorabilmente, prevedibile prima del tempo.
E se la scelta di fermarsi al primo 'segno/segnale' onora i ranghi di un perfetto finale in sospensione, sull'onda del suono di un fischietto
- per altri versi già motivo di salvezza in una ben nota sequenza del Titanic di Cameron - quale simbolo elettivo del destino futuro di un certo personaggio non ancora ritrovato, a storia ancora in corso, lo stesso motivo non lubrifica a sufficienza l'ingranaggio. E vogliamo tralasciare le dinamiche di certe corse in auto contro il tempo, dalle connotazioni improbabili se trasferite nella realtà , ai limiti del 'surreale' se non frutto di una fortuna tanto 'sfacciata' solo quanto riesce miracolosamente a dipingere la dea celluloide. Va a Jake Gyllenhaal (alla sua seconda collaborazione con Villeneuve dopo Enemy), con il suo inamovibile ed estremamente introverso dectective Loki, il privilegio dell'ultima parola, o, per meglio dire, dell'ultimo silenzioso appunto sulla sua interiorizzata sceneggiatura, scivolata su tic nervosi e tatuaggi che, mentre non dicono, tradiscono un background abbastanza problematico da legittimare, in una sorta di riscatto morale precedentemente negato, il modo particolare di
condurre la sua professione, in grado di fare la differenza.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Warner Bros. Pictures Italia, Silvia Saba e Chiara (SwService)