AUTOMATA: ANTONIO BANDERAS E MELANIE GRIFFITH DI NUOVO IN COPPIA... MA SOLO SULLA CELLULOIDE, NEL THRILLER SCI FI DI GABE IBÃÑEZ IN CUI LA RAZZA UMANA E' DI NUOVO IN PERICOLO TORCHIATA DA NUOVI ROBOT DI ULTIMISSIMA GENERAZIONE
Dal Festival Internazionale del Cinema di San Sebastian 2014 - RECENSIONE - Dal 26 FEBBRAIO
"'Automata' rappresenta il punto in cui l’intelligenza artificiale raggiunge e interseca quella umana; il momento in cui nascono i robot, sviluppando un’intelligenza che supera la stessa umanità ... (...) un personaggio che scopre un dettaglio apparentemente insignificante, che in realtà è tutt’altro che trascurabile. Questo tipo di approccio narrativo è tipico dei film noir. È come piantare un seme nella vita del protagonista e, lentamente, coltivarlo attraverso l’interazione con ogni nuovo personaggio che entra in scena... Dei robot l’aspetto più importante è l’intelligenza, non la forza, la velocità o le capacità ... Nel film, naturalmente i robot sono e restano creature spettacolari. Ma in fondo, questo è un film che parla dell’uomo, della sua intelligenza, di come ha abbandonato le caverne, ha scoperto il fuoco e ha inventato la ruota... Questo film è più filosofico, più umano se vogliamo. Una storia grandiosa, intrisa di sapori e reminiscenze dei noir degli anni ’40 e ’50, con una trama imponente"
Il regista e co-sceneggiatore Gabe Ibáñez
"Credo che prima o poi il genere umano si estinguerà . Ed è proprio di questo che parla il film, dell’inizio e della fine del genere umano. L’idea che il film intende proiettare sul pubblico è proprio questa, che tutti noi… Siamo vita".
Lo scrittore Igor Lagarreta
Effetti Speciali: Ivo Jivkov (supervisore effetti speciali); David Ramos (supervisore effetti visivi)
Casting: Kate Dowd e Marianne Stanicheva
Scheda film aggiornata al:
26 Aprile 2020
Sinossi:
IN BREVE:
In un futuro prossimo (2044), il pianeta Terra è al centro di una progressiva desertificazione e la razza umana è in piena lotta per la sopravvivenza. Per combattere l'incertezza e la paura, la tecnologia ha creato il primo androide quantistico, l'Automata Pilgrim 7000, destinato a convivere con l'uomo. Ciò ha portato alla crescita esponenziale della ROC, la società leader nel campo dell'intelligenza robotica che ha stabilito protocolli di sicurezza utili a garantire sempre il controllo dell'uomo sulle macchine. Come agente assicurativo per conto della ROC, Jacq Vaucan (Antonio Banderas) ha il compito di indagare sui modelli difettosi di androide ma ben presto scoprirà i segreti e le vere intenzioni che si celano dietro l'Automata Pilgrim 7000 con profonde conseguenze sul futuro dell'umanità .
IN DETTAGLIO:
Anno 2044. La Terra ormai sta andando verso la graduale desertificazione. L’umanità cerca faticosamente di sopravvivere a un ambiente sempre più ostile. La scomparsa della razza umana è appena cominciata, in bilico tra la lotta per la vita e l’avvento della morte. La tecnologia tenta di contrastare questo scenario di incertezza e paura con il primo androide quantistico, l’Automata Pilgrim 7000, progettato per alleviare la minaccia che incombe sulla società umana. AUTOMATA alza il sipario sulla convivenza tra uomini e robot in una cultura e in un mondo plasmati, per antonomasia, sulla natura umana.
Al declino della civiltà umana fa da contrappeso la rapida ascesa della ROC (Robotics Corporation), società leader nel campo dell’intelligenza robotica. Malgrado la morte a cui l’umanità è destinata, la società ha posto in essere rigidi protocolli di sicurezza per assicurare il controllo dell’uomo sugli androidi quantistici. L’agente assicurativo Jacq Vaucan (Antonio Banderas) è pagato per svolgere controlli di routine sui modelli difettosi di androidi: è così che inizia ad addentrarsi nei segreti e nelle vere intenzioni che si celano dietro gli Automata Pilgrim 7000. I sospetti di Jacq continuano ad alimentare il mistero – svelando una verità molto più scomoda e inquietante di qualunque robot.
SHORT SYNOPSIS:
Jacq Vaucan is an insurance agent of ROC robotics corporation who investigates cases of robots violating their primary protocols against altering themselves. What he discovers will have profound consequences for the future of humanity.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
UOMO E MACCHINA/ROBOT. LA SFIDA CONTINUA E IL SCI-FI POTREBBE APRIRSI UN VARCO NELLA DIMENSIONE REALE! SORPRENDENTE LA REGIA DI GABE IBÃÑEZ E GRANDE PROVA ATTORIALE DI ANTONIO BANDERAS
E' come se si intendesse riprendere le fila di un discorso iniziato dal primogenito di una numerosa famiglia: ormai la celluloide ha percorso tanti di quei chilometri contrapponendo umani e robot nelle più svariate direzioni! Ma in testa c'è sempre lui, il primogenito, tra l'altro in palpabile odore di sequel annunciato per il 2016, dopo 33 anni dal primo indimenticabile atto, ed è Blade Runner. I primi passi di questo straordinariamente sorprendente Automata, dello sceneggiatore e regista spagnolo Gabe Ibáñez (autore del pluripremiato cortometraggio Máquina, che ha debuttato sul grande schermo con il thriller psicologico Hierro), quasi imbarazzano. La grammatura del primo fotogramma si fa largo tra voci in sottofondo e il primissimo piano di un evento cosmico lascia intuire il letale
riflesso gravitazionale sulla Terra, prima che, dopo un preliminare susseguirsi di didascalie introduttive, si abbia l'impressione di trovarci di fronte ad una replica alternativa del primo Blade Runner. Gli ingredienti ci sono tutti: una pioggia fitta e incessante che ci accompagnerà per gran parte del tempo, la proiezione digitale di una sagoma femminile volteggiante in sottofondo (che ha soppiantato il celebre spot video reiterato nella pellicola scottiana) e quell'impermeabile di plastica trasparente che indossa il neo Deckard: la pelle che abita Antonio Banderas con il suo Jacq Vaucan, alle dipendenze di una società di controllo, con la stessa, o almeno analoga, depressa riluttanza del Deckard di Harrison Ford in Blade Runner. E non passerà molto tempo prima che in Automata Jacq/Banderas chieda al suo capo di poter lasciare l'incarico e di poter migrare, con la moglie in dolce attesa - che guarda caso si chiama Rachel! - in qualsiasi altro
posto che non sia quello. Ma anche qui, come già il Deckard di Ford, il Vaucan di Banderas non avrà altra scelta se non quella di obbedire agli ordini e di proseguire il lacerante incarico. E che dire delle ambientazioni dai soffitti bassi, metafora dell'opprimente compressione di un'umanità a rischio sopravvivenza, o della scena in odore dell'epilogo del film sui piani alti, con Jacq Vaucan ferito, seduto appoggiato ad un pilastro, in serio pericolo di vita?! (anche se in questo caso non a causa di un robot ma di un umano!). Come impedire ai nostri pensieri di correre alla mitica sequenza del confronto tra Rick Deckard e Roy Batty? Il richiamo è persino dichiarato sull'onda d'urto di quel penzolare dal cornicione, laddove questa volta le cose potrebbero andare diversamente. Eppure, nulla tradisce emulazione. Il discorso prosegue nel segno di un'evoluzione e di una profondità inesplorate di marca decisamente autoriale, sul
piano della regia così come della recitazione che vede qui Banderas nel ruolo forse più nobile di tutta la sua carriera, inscindibile da una fotografia (di Alejandro MartÃnez) eccellente prima protagonista - che ha relegato a dei camei i ruoli di supporto che ruotano attorno al Vaucan di Banderas, incluso quello della scienziata Dupre di Melanie Griffith. Fotografia spettacolare non tanto per gli effetti visivi, quanto per la sofisticata ricerca e messa a fuoco delle sfumature che sembrano parafrasare, proprio nelle stesse nuances, i contrasti emotivi e l'opprimente disagio del nostro tormentato protagonista: che si trovi in città o negli spazi aperti di una desertificazione in corso, dagli accecanti riverberi luministici di marca radioattiva. Gabe Ibáñez ci tiene a celebrare il suo evidente amore per il padre delle sue nuove riflessioni sull'umanità , il suo senso, il suo rapporto con le macchine che è in grado di creare - ma evidentemente
non di controllare - le sue alterazioni di carattere che mirano alla arrogante supremazia e sopraffazione, il suo tempo di durata. In Blade Runner Ibáñez sembra così riconoscere l'unica paternità , limitando a conoscenze epidermiche certi vaghi accenni ad A.I. o qualche rapida incursione nella direzione 'non umana' di Alien. Ed è curioso, quanto oltremodo affascinante, come, costeggiando quel sempre più nebuloso limitare tra sci-fi e realtà , Ibáñez trovi la migliore delle strade percorribili per le sue riflessioni filosofiche, lasciando spesso dialogare tra loro gli umani, in primo luogo il Jacq Vaucan di Banderas, con questi nuovi robot, i Pilgrim 7000, tra cui la versione femminile Cleo e quella della matrice vergine di questa generazione di robot, non condizionata da alcun protocollo. Come Deckard, anche Vaucan, si troverà davanti un percorso irto di ostacoli e di dubbi a proposito dell'identità e della dimensione di questi nuovi robot, elettivi spettatori oculari dell'inesorabile
declino della civiltà umana. Come i Pilgrim 7000 siano potuti sfuggire ai due protocolli di sicurezza (il primo impedisce al robot di minacciare qualunque forma di vita, il secondo di modificare se stesso o altri robot) lo si evince dall'anima thriller plasmata da Ibáñez in Automata, mentre le reazioni degli umani favoriscono l'ingresso a venature di noir. Ma come tra le due 'specie', in cui non manca certo l'approccio classico del contrasto, possa nascere empatia e solidarietà , come queste creature artificiali possano trasformarsi nelle nuove 'portatrici di quella fibra morale che gli umani sembrano aver smarrito e finanche disprezzato nel tempo', è un qualcosa che ha varcato finalmente il limite di quella famigerata soglia che ha posto fin troppo a lungo gli uni contro gli altri: il primo Blade Runner ha messo la prima pietra, ma non ha poi eretto alcun edificio. In Automata li troviamo l'uno al fianco dell'altro,
l'uomo e il robot - anche se questo non vale certo per tutti - a riflettere sulle stesse filosofie esistenziali che da sempre tormentano la nostra specie, e a cui Automata dà un'unica risposta: "La vita trova sempre la sua strada, persino qui".
Ma quel che trionfa davvero in Automata, è la dignità . Non solo quella umana, ma la dignità a più ampio spettro, riconoscibile per ogni identità , celebrata in una sequenza chiave che ci si augura possa trovare degna celebrazione negli annali del cinema e che si appunta sul commiato del robot Cleo dall'umano Jacq Vaucan. In quella sequenza c'è tutta l'essenza della vera presa di coscienza di un'identità , qualunque sia la sua portata, e soprattutto il rifiuto dell'essere un simulacro, foss'anche solo per l'immagine estetica. E se questa è la presa di coscienza di Cleo, quale potrà essere quella dell'umano e malconcio Vaucan? Ricorre per tutto il film la
sua intermittente visione di un bambino in riva al mare... Con questa chiave si apre e si chiude la porta del destino della parabola esistenziale umana.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)